Il suicidio infantile: cosa i genitori dovrebbero conoscere
I bambini e gli adolescenti cosa sanno rispetto alla morte e il suicidio? Hanno familiarità con questi argomenti? La risposta è si, e lo scoprono anche ad un'età sorprendentemente giovane.
La morte di un bambino genera sempre una sensazione orribile, il cuore sembra sgretolarsi e non si riesce a credere a quanto successo.
Ma quando un bambino muore per suicidio, il dolore che si avverte è completamente diverso, in quanto accompagnato da uno sconvolgimento e angoscia soprattutto nei familiari del bambino.
Fortunatamente, il suicidio in questa specifica popolazione è molto raro; in accordo, con il Center for Disease Control and Prevention, sono solo 2 bambini su un milione, con età compresa tra i 5 e gli 11 anni, a compiere un suicidio.
Il tasso tra gli adolescenti, tra i 12 ed i 17 anni, è di circa 52 milioni; in media circa 33 bambini sotto i 12 anni si suicidano ogni anno negli USA.
Ci si chiede pertanto se i ragazzi conoscono e sanno qualcosa circa la morte ed il suicidio. La risposta è si, e lo scoprono anche ad un'età sorprendentemente giovane.
Brian Mishara ha intervistato 65 bambini, con età tra i 6 ed i 12 anni per vedere ciò che conoscono e comprendono circa la morte e il suicidio.
Solo i bambini di 12 anni avevano familiarità con la parola "suicidio", ma quasi tutti sapevano cosa significasse "uccidere se stessi".
Tutti i ragazzi che conoscevano il suicidio erano oltretutto in grado di descrivere uno o più modi per farlo. Le interviste di Mishara hanno quindi mostrato che la comprensione della morte e del suicidio nei bambini aumenta con l'età.
La maggior parte dei più piccoli invece sapeva che coloro che morivano non riuscivano a tornare in vita, mentre altri credevano che le persone morte potevano vederli e ascoltarli.
Un nuovo studio condotto dalla ricercatrice Arielle Sheftall presso il Research Institute at Nationwide Children's Hospitale, insieme al suo team, hanno esaminato i dati nazionali di bambini con età compresa tra i 5 e gli 11 anni, e quelli di giovani adolescenti che sono morti per suicidio tra il 2003 e il 2012.
Nonostante l'età fosse diversa, hanno riscontrato alcune importanti somiglianze e differenze rispetto a questi due gruppi.
Rispetto alle somiglianze si è osservato che entrambi i gruppi presentavano una maggioranza significativa di genere: l'85% dei bambini ed il 70% di giovani adolescenti morti per suicidio erano infatti maschi.

Il metodo più comune di suicidio riguardava invece lo strangolamento o soffocamento (81% dei bambini e 64% dei giovani adolescenti); il secondo metodo più comune comprendere invece l'uso di armi da fuoco.
In entrambi i gruppi, quasi tutti i gesti suicidi si sono verificati in casa tra le 12 del mattino e la mezzanotte (81% dei bambini, 77% di adolescenti).
In entrambi i gruppi, i problemi relazionali erano legati al suicidio: il 60% dei bambini ed il 46% dei giovani adolescenti avevano infatti problemi con amici e familiari. Altri elementi comuni riguardavano la presenza di problemi scolastici o momenti di stress in entrambi i gruppi.
Successivamente i ricercatori hanno riscontrato alcune differenze impressionanti relative alla razza e alla malattia mentale tra i due gruppi di età che erano morti per suicidio.
Nel complesso, più bambini bianchi rispetto a bambini neri sono morti per suicidio, ma questi ultimi costituivano comunque un numero sproporzionato rispetto ai giovani adolescenti: il 37% dei bambini morti per suicidio erano neri, rispetto al 12% di giovani adolescenti.
Altri ricercatori hanno trovato che il tasso di suicidio tra i bambini neri è andato aumentando, mentre quello dei bianchi tendeva a diminuire.
Hanno successivamente confrontato i tassi di suicidio sui minori in due periodi di 4 anni, uno a partire dal 1993 e l'altro a partire dal 2008. Per i bambini neri il tasso di suicidio era infatti aumentato del 1,36%, rispetto ad una diminuzione del 1,14% nei bambini bianchi.
Circa un terzo dei bambini e degli adolescenti che sono morti per suicidio presentavano problemi di salute mentale, ma sono emerse comunque delle differenze tra i due gruppi.
Per i bambini, il Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività (DDAI) era presente quasi il doppio rispetto alla depressione o distimia, ma tra i bambini più grandi, la depressione era invece la problematica più comune rispetto al DDAI.
Ovviamente, la domanda che sorge spontanea è se questi bambini hanno realmente l'intenzione di morire.
La Dottoressa Sheftall ha scoperto che circa un terzo dei bambini o giovani adolescenti morti per suicidio avrebbero confidato a qualcuno l'intenzione di uccidersi.
Gli altri probabilmente credevano che fosse un qualcosa che non poteva essere confidato, o magari volevano che nessuno lo venisse a sapere, o semplicemente poteva essere stato un atto impulsivo che non ha lasciato il tempo e lo spazio per parlarne con qualcuno.
Abby Ridge Anderson, ricercatrice presso la Catholic University of America, sostiene che i bambini che presentano pensieri suicidi "non vogliono tanto porre fine alla loro esistenza quanto il desiderio di controllo, empatia, accettazione, riconoscimento e la convalida del loro valore da parte delle persone chiave della loro vita".
In altre parole, vogliono disperatamente che le cose siano migliori, ma non possono trovare strumenti più efficaci per gestire i loro problemi o diminuire la loro sofferenza, e vedono così nel suicidio un'opzione affascinante.
Ridge Anderson suggerisce che ci possono essere due sottotipi di bambini suicidi: uno che si sente depresso, senza speranza, inutile e incapace di divertirsi; l'altro che invece è più irritabile, distruttivo, aggressivo e impulsivo.

Quest'ultimo sottotipo sembra essere il più comune nei bambini piccoli e nei pre-adolescenti. Pertanto, i problemi relazionali, la prevalenza di sintomi depressivi o di DDAI, il desiderio di controllo e così via, possono suggerire, in alcuni casi, che i bambini sperimentano un'interazione stressante, si sentono estremamente disturbati ma non sanno come agire e fronteggiare tale momento, lasciandosi così dominare dall'impulso di ferire se stessi, forse non aspettandosi però di morire.
E' importante sottolineare che la maggior parte dei bambini che pensano al suicidio non finiscono per uccidersi, e inoltre, la presenza di DDAI o depressione non necessariamente correla significativamente con l'atto suicidario.
Ciò che va però tenuto fortemente in considerazione, soprattutto da parte dei genitori, è quando i bambini si feriscono volontariamente o esprimono una "volontà" di morire; un bambino preoccupato che presenta pensieri suicidi o di morte ha un urgente bisogno di aiuto per la sofferenza psichica e mentale che sta attraversando.
Dato che la maggior parte inizia a familiarizzare con tale argomento intorno agli 8-9 anni, è importante capire come questo argomento è stato compreso, capire ciò che hanno letto, visto o sentito in TV.
Ciò può fornire la possibilità di correggere le incomprensioni e spiegare che il suicidio è una risposta permanente a problemi temporanei, ma non è mai una buona risposta.
E' fondamentale che il genitore impari ad empatizzare con il vissuto emotivo del bambino, ponendosi come il soggetto che sarà sempre disposto ad aiutarlo, a prescindere da quale sia il problema.
Se si notano cambiamenti nella personalità o nel comportamento di un bambino, come il ritiro dagli amici o la perdita di interesse per le attività precedentemente godute, se sembra molto afflitto o si sente infelice da un paio di settimane, o se è stranamente impulsivo ed aggressivo, è bene cercare di capire cosa sta succedendo.
Per la maggior parte degli adulti, è molto difficile parlare di suicidio con i propri figli, perchè si è sconvolti dall'idea che un bambino possa pensare una cosa del genere, ma spesso fare domande potrebbe salvare la vita di un bambino.
Gli esperti sul suicidio sottolineano all'unanimità l'importanza di domandare rispetto a pensieri o azioni suicidarie come un passo importante verso la prevenzione.
Questo non "mette le idee" nelle teste dei bambini, ma potrebbe essere quell'apertura che il bambino aspetta per poter chiedere aiuto.
Per esempio, si potrebbe chiedere se hanno sempre pensato di aver voglia di ferirsi o farsi male, o di desiderare di morire, o di addormentarsi e non svegliarsi più, e così via.
In conclusione, se le risposte fornite dal bambino destano preoccupazione, è il momento giusto per chiedere il consulto di uno specialista!
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)