La morte della privacy
La perdita involontaria della privacy è sempre più diffusa a causa della pirateria informatica. Nel contesto della psicoterapia quali novità e rischi ci sono rispetto alla conservazione di materiale digitale inerente il paziente?
In nessun luogo la privacy è più importante come nel campo della salute mentale.
Soprattutto nel contesto della psicoterapia, si è sempre insistito sul raggiungimento di un alto livello di riservatezza per i pazienti.
Pur in assenza di una protezione assoluta da parte della legge, sia gli psicologi che gli psicoterapeuti resistono, ogni volta, a qualsiasi intrusione da parte di tribunali o altre figure governative.
Questo sforzo è diventato ancora più importante in quanto la privacy è scomparsa dalla nostra società.
Le persone sembrano infatti sempre più disponibili e, anche desiderose, di sottoporre le loro vite all'esame pubblico attraverso i social media e altre manifestazioni legate alla rivoluzione digitale.
Il texting, il sexting, il tweeting, il blog personale, i forum online e altri display di informazioni personali e private sono sempre più pubbliche, anche quando le conseguenze possono determinare problemi legati al lavoro, vergogna pubblica e rischio legale.
Che si tratti della perdita di un posto di lavoro o di una promozione, di vendetta pornografica o di prove in un processo penale, la lezione non sembra mai essere appresa.
Se le persone vogliono rasentare comportamenti folli nella loro vita personale, tuttavia, non esiste un vero e proprio divieto, il chè si configura come un loro diritto di farlo.


Ma al giorno d'oggi molti di noi perdono la privacy anche quando cercano di proteggerla.
La perdita involontaria della privacy è sempre più diffusa in quanto esempi massicci di pirateria informatica, nonché il furto di informazioni personali e identitarie distruggono il tentativo di mantenere privati i propri dati.
Già decine di milioni di cartelle cliniche online sono diventate preda di hacker malevoli; nel campo della psicologia, i pazienti vengono regolarmente obbligati da terze parti a cedere i propri dati sanitari per non andare incontro alla perdita della copertura assicurativa.
E ora, una nuova e crescente minaccia alla privacy delle informazioni sulla salute mentale è rappresentata dall'Electronic Health Record (EHR).
Qualora il governo americano dovesse rendere l'EHR un requisito legale, l'imposizione di multe per non conformità e la minaccia di trattenere il rimborso assicurativo, significherebbe la possibilità di non poter più scegliere.
Anche l'uso apparentemente benigno di questi dati potrebbe portare a divulgazioni non autorizzate qualora l'EHR fosse condivisa con altri fornitori, sia che si tratti di scopi di salute mentale, medici, legali o giustificabili.
Una volta che l'informazione è fuori dalle nostre “mani”, non si potranno più applicare delle repliche alla sua diffusione e pubblicazione.
L'EHR rappresenta quindi un pericolo chiaro e presente, ma sfortunatamente è anche un documento legale che non può essere completamente evitato. Il rischio è inoltre quello che, presto, potrebbe divenire universale.
L'unico rimedio a questa crescente minaccia è limitare le informazioni che andranno a essere inserite all'interno dell'EHR.
Tra i dati richiesti dalla legge vi sono le date inerenti il servizio, le prossime sedute programmate, eventuali trattamenti specifici o prescritti.
Bisognerebbe anche includere il rischio percepito, come l'intento suicidario, e, cosa più importante, quali interventi si decidono di intraprendere per attenuarli.
Se così dovesse essere, in qualità di psicologi e psicoterapeuti saremo legalmente obbligati a conservare tutti i dati che costituiscono la base per la cura del paziente.
Potremmo anche dover includere la diagnosi, sebbene quella parte di dati sia la più problematica; è bene sottolineare che la diagnosi psichiatrica si costituisce a partire da semplici osservazioni e somministrazioni di test che sono state codificati per facilitare la comunicazione e consentire confronti di ricerca.
Niente, tuttavia, incarna lo stigma associato alla malattia mentale come un'etichetta diagnostica.
La possibilità che tali dati siano disponibili a tutti i fornitori all'interno del sistema e a chiunque fornisca assistenza al cliente, è probabile che pregiudichi gli altri nei confronti dei pazienti e clienti.
Poiché può influenzare gli atteggiamenti di altri fornitori di assistenza della salute, potrebbe comportare trattamenti distorti, limitati o addirittura dannosi in futuro. Ove possibile, sarà quindi preferibile usare una breve descrizione piuttosto che una diagnosi formale.


Se ciò non è fattibile, si potrà almeno scegliere l'etichetta diagnostica meno negativa disponibile.
Tutto il resto di ciò che si vorrebbe annotare, come osservazioni, piani, ipotesi e altre intuizioni, dovrebbe essere tenuto in un registro separato, non digitale.
La carta diviene quindi l'opzione migliore, in quanto non può essere violata, non sfugge al nostro controllo a meno che non lo vogliamo consapevolmente, e può essere completamente distrutta.
Nessun tecnico informatico potrà recuperare i dati dalla carta nel modo in cui il materiale digitale può essere recuperato.
All'interno dei file cartacei si potranno così registrare tutte quelle informazioni legate alla cura del paziente e, al termine del trattamento, scegliere di distruggere o bruciare 'la cartella' essendo così sicuri di aver protetto sia la privacy del paziente che quella dell'operato psicoterapeutico.
Tratto da “Psychotherapy.net”
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)