La Self-Disclosure del terapeuta
Secondo una recente ricerca il paziente trova utile una condivisione delle informazioni da parte del terapeuta in quanto percepisce una disponibilità che influenza ed aumenta l'alleanza terapeutica.
Quando si parla di self-disclosure, termine traducibile con “rivelazione di sé o autorivelazione”, si fa riferimento ad un concetto entrato da poco a far parte del mondo psicoanalitico, il quale indica uno svelamento cosciente e voluto, da parte del terapeuta, di qualche aspetto di sé al paziente.
La posizione rispetto a tale rivelazione varia notevolmente in base all'orientamento teorico: gli psicoanalisti classici spesso evitano di rivelare parti o aspetti di sé al paziente nel tentativo di restare un “foglio bianco”, mentre non è raro che terapeuti che lavorano con soggetti dipendenti possano condividere il proprio stato con i loro pazienti.
Alcuni autori ritengono che lo svelamento di sé da parte del terapeuta sposti l'attenzione del trattamento lontano dal paziente; altri ritengono invece che tale svelamento possa aiutare a demistificare l'alleanza terapeutica, normalizzare la relazione con il paziente, e sfidare le credenze negative che il paziente potrebbe avere circa la convinzione di avere un determinato impatto sugli altri.
Da un punto di vista scientifico, esiste solo una piccola parte di ricerca che ha cercato di comprendere se differenti tipologie di rivelazione di sé da parte del terapeuta potrebbero avere un impatto positivo sulla non rivelazione di sé da parte del paziente, e sulla vergogna di quei pazienti affetti da disturbo del comportamento alimentare.
Simonds & Spokes hanno condotto uno studio per indagare l'eventuale relazione tra differenti tipi di svelamento di sé da parte del terapeuta, alleanza terapeutica, svelamento di sé da parte del paziente, vergogna e gravità dei problemi alimentari.
Essi hanno esaminato due tipi di rivelazione di sé terapeutica: quella personale, intesa come valori propri del terapeuta, esperienze personali, relazionali e via dicendo, e quella immediata, intesa come informazioni basate sugli scambi terapeutici e cioè inerenti al controtransfert o agli errori che il terapeuta ha commesso.
Essi hanno ipotizzato che la percezione della disponibilità del terapeuta a parlare di sé migliorerebbe la relazione terapeutica, che a sua volta promuoverebbe lo svelamento di sé da parte del paziente, riducendo la vergogna, che sarebbe così associata ad un miglioramento dei sintomi del disturbo alimentare.


I ricercatori hanno esaminato 120 partecipanti reclutati on-line attraverso un database del Servizio Sanitario Britannico, con problemi di disturbo alimentare.
I partecipanti avevano un'età di almeno 16 anni e avevano effettuato almeno due incontri di psicoterapia, escludendo le sessioni di valutazione, per dei problemi alimentari.
Tra i criteri di inclusione non era richiesta una diagnosi attuale o precedente di disturbo del comportamento alimentare.
I partecipanti sono stati valutati attraverso misure inerenti la non-rivelazione di sé - modalità del paziente che non condivide informazioni con il terapeuta - la vergogna, l'alleanza terapeutica, la rivelazione di sé del terapeuta e i problemi alimentari.
I risultati dello studio hanno indicato che il tipo più comune di svelamento di sé del terapeuta riguardava un sentimento positivo verso il paziente. Questo dato è stato riportato dall'84% dei partecipanti.
La maggior parte delle rivelazioni di sé da parte del terapeuta sono state valutate come utili e neutrali.
Per entrambi i tipi di rivelazione di sé terapeutiche, i risultati indicavano che quanto maggiore è la percezione di disponibilità del terapeuta, più è forte l'alleanza terapeutica.
Più è forte l'alleanza terapeutica, maggiore è lo svelamento di sé del paziente; più è grande lo svelamento di sé del paziente, più è bassa la vergogna. Più è bassa la vergogna, minori sono i problemi alimentari.


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Non c'era alcuna prova che la disponibilità delle informazioni del terapeuta (personali o immediate) fosse correlata a problemi alimentari indipendentemente dall'alleanza terapeutica, allo svelamento di sé del paziente o alla vergogna.
La ragione più comune per cui il paziente non rivela informazioni su di sé era la coscienza di sé, ossia la vergogna, il sentimento di colpa e la paura di un giudizio negativo.
Le qualità del terapeuta e l'intervento messo in atto correlavano con il non svelamento di sé del paziente, svolgendo però un ruolo meno significativo.
Questo studio suggerisce che la rivelazione di sé del terapeuta, se percepita come utile, potrebbe avere un effetto indiretto potenzialmente vantaggioso sui problemi alimentari, attraverso un impatto sull'alleanza terapeutica, sulla vergogna e svelamento di sé da parte del paziente.
Il paziente trova utile una condivisione delle informazioni da parte del terapeuta, in quanto percepisce una disponibilità che influenza il rapporto terapeutico.
Ricerche precedenti hanno però suggerito che la self-disclosure terapeutica che riguarda informazioni troppo intime, potrebbe essere considerata inadatta e, a sua volta, probabilmente non percepita come utile, pertanto ogni svelamento di sé deve essere ben studiato nel contesto di ogni specifica relazione paziente-terapeuta.
Per tutti coloro che all'interno della propria pratica clinica prendono in considerazione un aspetto di questo tipo è bene soffermarsi e porsi alcune domande: per quale motivo mi sto rivelando? Sarà o può essere di aiuto nel trattamento del paziente? È probabile che il paziente la percepisca come utile o inappropriata?
Attraverso queste semplici domande, le cui risposte non sono sempre facili da trovare, si potrà almeno iniziare a comprendere cosa spinge verso un comportamento di questo tipo, e soprattutto capire come imparare ad usare uno strumento terapeutico così potente ma anche, forse, pericoloso.
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)