Thomas Szasz e la sua critica efferata alla psichiatria
La critica alla psichiatria offerta da Thomas Szasz merita un'attenta riflessione, anche se alcune delle sue opinioni sembrano radicali.
Lo psichiatra e scrittore ungherese-americano Thomas Szasz, morto all'età di 92 anni, era considerato da molti il principale filosofo morale della psichiatria e della psicoterapia del XX° e XXI° secolo.
Altri lo vedevano come un'influenza pericolosa e seducente. Se mai c'è stato un critico efferato della psichiatria è stato sicuramente Thomas Szasz.
Il suo libro del 1961, “The Mith of Mental Illness”, fornì le basi filosofiche per i movimenti anti-psichiatrici e per i difensori dei pazienti, iniziati negli anni '60 e da allora fiorenti.
Szasz sosteneva che un modello di malattia era un errore di categoria quando ci si trovava di fronte a “problemi di vita”.
Lo psichiatra di New York, nato a Budapest e immigrato negli Stati Uniti nel 1938, aveva inoltre una specializzazione in psicoanalisi e insegno presso la SUNY Upstate fino alla pensione.
Rifiutò il modello medico della psichiatria, in quanto da lui considerato come intrinsecamente coercitivo.
Fu uno dei primi critici dell'ex-modello di omosessualità promosso dall'American Psychiatric Association. Si batteva energicamente contro l'uso di ricoveri involontari, la difesa della follia ed il controllo psichiatrico tramite farmaci psicotropi.
La sua influenza ha permeato sia la psicologia clinica che la psichiatria, lasciando non solo un'eredità di scetticismo psichiatrico, ma anche sottolineando l'importanza di una maggiore enfasi sulla giustizia sociale.

Uno degli argomenti principali promossi da Thomas Szasz sottolineava come la malattia mentale fosse equiparabile ad un mito.
Era molto critico nei confronti del cosiddetto modello medico per comprendere e analizzare le difficoltà e i turbamenti umani.
Vide gli usi dei sistemi diagnostici, ad esempio il DSM, come implicanti erroneamente la presenza di una malattia reale.
La sua visione particolareggiata sulla malattia mentale non fu esente da critiche, tanto da essere respinta dall'American Medical Association, dall'American Psychiatric Association e dal National Institute of Mental Health.
Perfino, il Dottor Allen Frances, lui stesso critico del moderno approccio diagnostico in psichiatria, sosteneva che Szasz “va troppo lontano”.
Tuttavia, la critica offerta da Thomas Szasz merita un'attenta riflessione, anche se alcune delle sue opinioni sembrano radicali.
È ampiamente assodato che il DSM-5 rappresenti un progresso nella conoscenza che facilita la nostra comprensione nel trattare la psicopatologia.
Questo, secondo alcuni, produce meno stigma nei confronti di chi è affetto da malattia mentale, il trattamento allevia la sofferenza e via dicendo.
E cosa potrebbe dunque essere controverso?
Ad un livello più elementare, l'American Psychiatric Association mantiene una sorta di monopolio su ciò che costituisce una malattia mentale.
Come sottolineato da Allen Francis, presidente del precedente DSM-IV, il nuovo manuale è diventato vittima del proprio successo.
È diventato l'arbitro principale di chi è malato e chi non lo è, e tali decisioni influenzano ogni cosa, dall'accesso ai servizi scolastici, ai pagamenti di invalidità e all'ammissibilità alle assicurazioni.
La visione benevola sarebbe che ci sarà più accesso alle cure per tutti. Una visione più cinica suggerisce, al contrario, un aumento della patologizzazione dell'esperienza normale ( ad esempio, conversione della timidezza in Disturbo d'ansia sociale).
Con l'aggiunta di molte nuove diagnosi ed un ampliamento dei criteri diagnostici per le diagnosi esistenti, il DSM-5 Ha modellato le nozioni di normalità e malattia in modi che non possono essere previsti.
Ciò che è chiaro è che il suo continuo dominio come Sacra Scrittura della psichiatria assicura una continuo ossequio agli esperti quando siamo turbati.
Se Szasz vorrebbe farci dubitare della fedeltà degli esperti, la psicoanalisi ci fornisce un linguaggio per parlare del perchè potremmo essere attratti dagli esperti in primo luogo.
Freud ci ricorda che c'è qualcosa di intrinsecamente ingestibile negli esseri umani. Facciamo fatica a sopportare ciò che sembra insopportabile.
Il nostro rivolgersi agli esperti è quindi un processo di auto-cura per ciò che non si riesce a spiegare o tollerare.
Ma è più facile da sopportare se può essere spiegato e potenzialmente alleviato dagli esperti?
Se una persona sta vivendo una timidezza persistente e 'testarda', è realmente giusto, nel panorama attuale, inquadrarla come un disturbo d'ansia sociale, una malattia mentale trattabile?
Automaticamente, sembrerebbe che siano le nostre stesse paure a portarci nelle braccia degli esperti.
Se Freud vorrebbe che fossimo critici su ciò che riteniamo essere vero nella nostra natura, William James ci spingerebbe a riflettere sull'utilità di ciò che abbiamo scoperto.

Sarebbe più o meno utile pensare alla propria natura introversa e alla paura sociale come una condizione di salute mentale?
Se pensiamo alla timidezza come una malattia trattabile, sono più propenso a cercare soluzioni specifiche piuttosto che altre? Quali sono gli effetti collaterali di una metafora medica?
Sarebbe difficile discutere contro l'idea che stiamo meglio con il tipo di approccio compassionevole, non discriminatorio e basato sulla scienza di cui godiamo per condizioni come l'autismo, i disturbi cognitivi e la depressione grave.
Non viviamo più in un mondo infestato dai demoni. Avremmo anche difficoltà a immaginare il tipo di mondo che Ballard ha descritto nel suo racconto futuristico “The Insane Ones”, dove psichiatri e psicologi sono stati banditi in un sorta di utopia libertaria che Szasz potrebbe apprezzare.
“Esprimendo il proprio odio e l'ansia su un comodo capro espiatorio, i nuovi governanti e la grande maggioranza che li eleggeva, bandirono tutte le forme di controllo psichico, dall'indagine innocente di mercato alla lobotomia … i malati di mente erano soli, risparmiate pietà e considerazione, fatte per far pagare fino in fondo le loro mancanze”.
Qui vi è sicuramente una via di mezzo; le nostre concezioni su ciò che è normale o sano implicano un progetto molto più grande del DSM e forse vedremo il DSM prendere il suo posto accanto ad altri cimeli di cui non si ha più bisogno (ad esempio le lobotomie).
Allo stesso modo, le nostre idee sull'auto-miglioramento vanno sicuramente oltre il linguaggio e i metodi di trattamento della psichiatria.
Pur apprezzando le pratiche basate sull'evidenza nella psicoterapia ed i progressi della medicina in psicofarmacologia, bisogna stare attenti ad una gamma completa di trattamenti nuovi come quelli dell'auto-aiuto.
È proprio questo che Thomas Szasz voleva ricordarci, di non “scambiare la medicina con la magia”.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro