Aiuto! Gli antidepressivi non funzionano!
La maggior parte dei farmaci antidepressivi non riescono a ridurre notevolmente i sintomi della depressione per la maggior parte dei pazienti e per la maggior parte del tempo, specialmente per le persone che hanno disordini multipli e una storia di esperienze avverse come perdite, deprivazione, negligenza o abuso. Ci si chiede pertanto quando la terapia diviene l’opzione migliore?
La ricerca attuale sulla depressione mostra che questa molto spesso sia causata da una combinazione di fattori ambientali e genetici.
Il trattamento per la depressione, quindi, funziona meglio quando affronta entrambi questi fattori e tiene conto della storia personale unica dell’individuo.
Un problema comune, è che spesso la depressione viene trattata solo mediante prescrizione farmacologica, generando un fallimento nella cura e un mancato benessere nel paziente.
A tal proposito, verrà presentata la storia di Sharon, nome puramente di fantasia; Sharon è una donna di 29 anni che soffre di depressione, ansia e binge eating, ossia un disturbo di alimentazione incontrollato.
Rispetto a quanto racconta, Sharon mostra un modello di relazioni instabili; il suo unico fratello è morto quando lei aveva dieci anni, ed i suoi genitori decisero di divorziare a distanza di poco tempo.
Questo è stato il primo momento della sua vita in cui ha sperimentato la depressione; intorno ai 20 anni, una serie di relazioni che aveva intrapreso finirono male, divenendo così ancora più depressa.
Dopo essesri preoccupata per la presenza di pensieri suicidi, Sharon si decise a consultare uno psichiatra; le furono somministrate due diverse categorie di antidepressivi, ma non si rivelarono efficaci.
Lo psichiatra aveva effettuato una valutazione approfondita, compresi gli esami del sangue per escludere malattie della tiroide o altre cause mediche potenzialmente correlate alla depressione.
Riferì a Sharon che il suo episodio depressivo si era sovrapposto ad un disturbo depressivo latente, un disturbo d’ansia generalizzato, un disturbo alimentare e forse un disturbo borderline di personalità.
Sharon rimase sconcertata dall’elenco, in quanto si aspettava di avere solo un problema, ma decise comunque di accettare la prescrizione medica dello psichiatra, il quale scelse farmaci che potevano aiutarla sia per la depressione che per l’ansia e l’alimentazione incontrollata.
Nella loro ultima visita mensile il suo psichiatra, notando scarsi miglioramento, le propose un terzo farmaco, ma Sharon si rifiutò.
Aveva perso la fiducia e non credeva che un nuovo farmaco potesse essere la risposta ai suoi problemi.
Rispetto al trattamento farmacologico, la Dottoressa Susan Kolod, Presidente della Commissione sulle pubbliche informazioni presso l’American Psychoanalytic Association, e il Dottor Wilie Tene, Direttore degli affari pubblici dell’American Psychoanalytic Association, sottolineano che i trial sui farmaci antidepressivi vengono condotti su pazienti con una diagnosi accurata, escluse le persone come Sharon che presentano un’elevata comorbidità con altri disturbi psichiatrici, uso di sostanze e pensieri suicidari.
Pertanto, questi farmaci sono testati su una minoranza selezionata di pazienti depressi, lasciando fuori il 75-80% dei pazienti che hanno altri problemi di salute mentale.
Il fatto è che la maggior parte dei farmaci antidepressivi non riescono a ridurre notevolmente i sintomi della depressione per la maggior parte dei pazienti e per la maggior parte del tempo, specialmente per le persone che hanno disordini multipli e una storia di esperienze avverse come perdite, deprivazione, negligenza o abuso.
Ci si chiede pertanto quando la terapia diviene l’opzione migliore?
La ricerca indica che i pazienti con depressione cronica con esperienze precoci avverse rispondono più positivamente alla sola psicoterapia, che al farmaco.
Tuttavia, una combinazione di entrambi diviene più potente; quindi abbinare una psicoterapia alla prescrizione farmacologica dovrebbe essere la norma.
Molti tipi di psicoterapia si sono dimostrati efficaci sia per i pazienti con depressione grave che lieve, soprattutto se consideriamo che questa è causata da molti fattori.
La terapia psicodinamica in particolare è efficace con quella forma di depressione “trattamento resistente”, e cioè che non ha generato un miglioramento dopo due diverse prescrizioni farmacologiche.
Da un punto di vista genetico, anche se i ricercatori speravano di trovare i geni che causano la depressione, nessuno è stato rintracciato in ricerche approfondite.
La genetica della depressione, come quella di altri comuni disturbi mentali è infatti alquanto complessa.
È probabile che molte piccole componenti genetiche svolgano un ruolo, insieme a fattori ambientali, come le esperienze che Sharon ha vissuto a dieci, a causare la depressione.
Dal momento che gli aspetti relazionali svolgono un ruolo così delicato nel provocare la depressione, ha senso dire che un rapporto di fiducia e importante come quello con un terapeuta sia un modo potente per ottenere un beneficio.
Dal momento che l’ultima ricerca ci insegna che sia la natura che il “nutrimento” sono fattori insiti nella malattia mentale, ha senso che entrambi vengano integrati nel trattamento.
La biologia da sola non può spiegare la presenza di disturbi mentali come la depressione; allo stesso modo, la sola assunzione farmacologica si rivela inadeguata per affrontare il problema.
Rispetto a Sharon, gli autori sottolineano che si è rivolta ad un altro psichiatra il quale ha integrato il farmaco a due sedute settimanali di terapia psicodinamica.
Sta migliorando man mano che sta imparando ad affrontare i problemi vissuti, nonché l’impatto che hanno oggi su di lei.
La tragica morte del fratello e il successivo divorzio dei genitori hanno portato Sharon a pensare che la sua strada fosse quella dell’arruolamento militare.
Questo le ha però impedito di affrontare il lutto e le gravi perdite che ha sperimentato così presto nella vita.
Questi erano quei pezzi fondamentali che mancavano durante il suo unico trattamento farmacologico. I pezzi mancanti si stanno così riunendo in un modo che la aiuta a capire come siano state quelle perdite iniziali a determinare la depressione.
Prende ancora un antidepressivo e sente che ora, abbinandolo alla relaziona con un altro, la sta aiutando.
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)