Alcool e marjiuana: gli effetti sul cervello
Tra il consumo di alcool e marijuana qual è la sostanza più pericolosa da consumare? Ne esiste una? Che effetti producono sul cervello?
Il Professor Gary Wink, Docente di psicologia e neuroscienze, virologia molecolare, immunologia e medicina genetica presso l'Università dell'Ohio, sottolinea come, ogni anno, i suoi studenti fanno sempre la stessa domanda riguardante l'alcool e la marjiuana: cosa è più pericoloso da consumare?
In verità, è un quesito a cui è difficile rispondere perchè le due sostanze svolgono azioni del tutto diverse e complesse nel cervello.
Inoltre, è difficile definire cosa significa “più pericoloso” per quanto riguarda il cervello, in particolare rispetto alle note conseguenze del consumo di alcool sul corpo.
Inoltre, gli effetti a lungo termine di entrambe le sostanze sono spesso molto diversi dai loro effetti a breve termine.
Inoltre, come sottolineato recentemente sulla relazione tra il fumare marijuana e i sintomi psicotici, il relativo pericolo dipende soprattutto da specifiche vulnerabilità genetiche ereditate dai nostri genitori.
“Pertanto, ritengo che rispondere a questa domanda sia spesso analoga al voler confrontare le mele e le arance”, afferma il Dottor Wink.
Tuttavia, recentemente alcuni progressi nella ricerca su entrambe le sostanze hanno fornito qualche ulteriore conoscenza, almeno dal punto di vista cerebrale.
Una recente pubblicazione sul Proceedings of the National Academy of Sciences, in California, ha esaminato gli effetti del consumo di alcool sul cervello adolescente.

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Molti recenti studi hanno già dimostrato che l'adolescenza è un momento di maggiore vulnerabilità del cervello per lo squilibrio chimico.
Inoltre, per rendere ancora più attuale questo problema, il consumo di alcool tra gli adolescenti sembra essere in aumento.
Alcuni neuroscienziati hanno scoperto che il consumo di alcool è particolarmente dannoso per una regione del cervello chiamata ippocampo, il quale svolge un ruolo fondamentale nell'apprendimento e nella memoria.
All'interno dell'ippocampo esiste un gruppo di cellule che producono continuamente nuove cellule cerebrali, chiamate neuroni, per tutta la vita.
Questo processo di rinnovamento cellulare è chiamato “neurogenesi”; ogni volta che questo processo è compromesso abbiamo difficoltà a formare nuove memorie e sviluppiamo sintomi depressivi, giusto per citare alcune conseguenze.
A differenza degli effetti dell'alcool, una serie di pubblicazioni negli ultimi anni suggeriscono che stimolare il sistema neurotrasmettitoriale attraverso l'assunzione di marijuana sembra avere gli effetti contrari sulla neurogenesi ippocampale, sia in animali di laboratorio che negli essere umani, giovani e vecchi, facendo sì che la neurogenesi sia aumentata dalla stimolazione dei recettori della marijuana nel nostro cervello.
Quando siamo anziani, il nostro cervello mostra un drammatico declino della neurogenesi all'interno dell'ippocampo, producendo disordini della memoria associati all'età, nonché depressione.
La ricerca in laboratorio ha dimostrato che la stimolazione dei recettori della marijuana nel cervello ristabilisce la neurogenesi. Così, più tardi nella vita, la marijuana potrebbe effettivamente aiutare il cervello, piuttosto che danneggiarlo.
Considerati insieme i risultati di questi studi possono insegnare molto sul ruolo del nostro sistema neurotrasmettitoriale endogeno alla marijuana durante il processi di riparazione o ri-cablaggio del nostro cervello.
Il consumo di alcool durante i periodi più vulnerabili della nostra vita è chiaramente in grado di interferire con questi processi neurali critici e produrre conseguenze negative a lungo termine.
Nonostante molti recenti progressi da parte dei laboratori di tutto il mondo, restano ancora da studiare gli effetti di queste due sostanze sul cervello.
Tuttavia, un piccolo studio pilota pubblicato nella rivista “Psychiatry Research” rileva che la marijuana può causare un aumento temporaneo degli stati psicotici in persone che presentano un elevato rischio per tali disturbi.
Lo studio preliminare, che ha coinvolto 12 giovani adulti che hanno riferito un uso settimanale di marijuana, è il primo a provare gli effetti della droga in persone con elevato rischio clinico per disturbi psicotici in condizioni di laboratorio controllato.
La marijuana è infatti nota per esacerbare i sintomi psicotici nelle persone con schizofrenia o altri disturbi simili.
Alcuni ricercatori ritengono che l'uso regolare della sostanza in giovane età aumenta la probabilità che coloro che presentano un alto rischio sviluppino una di queste malattie.
All'interno dello studio, i soggetti sono stati suddivisi in due gruppi, 6 per il gruppo di controllo, e altri sei che, indipendentemente dall'utilizzo della marijuana, avevano sperimentato determinati cambiamenti nei pensieri, nel comportamento o nella percezione, presentando una storia familiare di psicosi o recenti diminuzione della funzione sociale.
In questo studio a doppio cieco, ciascun partecipante ha completato questionari inerenti l'umore e le percezioni prima di fumare marijuana, e completato test neurocognitivi e cardiovascolari.


Gli stessi test sono stati somministrati dopo l'assunzione della sostanza. Tutti i partecipanti hanno fumato sia la marijuana che assunto il placebo in diversi giorni.
A seguito dell'assunzione della reale sostanza, i partecipanti di entrambi i gruppi hanno sperimentato una maggiore frequenza cardiaca ma, mentre altri aspetti hanno “colpito” in modo minimo il gruppo di controllo, la sostanza ha provocato un aumento temporaneo degli stati psicotici e diminuzione delle prestazioni neurocognitive nel gruppo ad alto rischio.
Questi effetti comprendevano sentimenti di paranoia, ansia, illusioni visive, stranezze, disattenzione e tempi di rallentamento, nonché una scarsa performance sui compiti legati alla memoria e all'inibizione della risposta.
Questo piccolo studio ha dimostrato la fattibilità di studiare gli effetti della marjiuana in persone a rischio clinico per la psicosi in un ambiente controllato, suggerendo che la marijuana possa influenzare gli individui ad alto rischio per la psicosi.
Gli autori concludono che sono ovviamente necessari studi più grandi e ripetuti per confermare ed estendere tali risultati.
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)