Cinema e psicoanalisi
Il rapporto tra cinema e psicoanalisi è antico quanto le due stesse istituzioni. La psicoanalisi fu inventata da Sigmund Freud alla fine del XIX secolo, nello stesso periodo in cui i primi film venivano creati da registi come i Fratelli Lumiere, George Méliés e Thomas Edison.
Il primo libro di Freud, “Sull'afasia”, fu pubblicato nel 1890, un periodo considerato anche dagli storici del cinema come il decennio inaugurale del film.
Questo decennio ha visto al nascita del primo studio cinematografico, il Black Maria di Thomas Edison, e lo sviluppo di molti progressi nella tecnologia delle macchine fotografiche e nella tecnica cinematografica.
Alcuni dei primi critici cinematografici, come Jean Epstein, notarono immediatamente che la nuova forma d'arte possedeva una qualità onirica unica.
L'eterea qualità di film come “Viaggio nella luna” di Méliés e “Lo studente di Praga” di Hanns Heinz Ewers è difficile da negare, poiché la combinazione di diversi scenari e personaggi ultraterreni creano un'esperienza surreale per lo sperimentatore.
Nel 1900, Freud pubblicò la sua opera fondamentale, “L'interpretazione dei sogni”. In questo libro, Freud presenta quelle che sono diventate alcune delle sue idee più famose sulle connessioni tra sogni, latenza e desiderio.
In quest'opera, Freud propone la tesi secondo cui i sogni sono una forma di realizzazione del desiderio, offrendo al sognatore l'opportunità di vivere fantasie negate a lui o lei nella fase di veglia.
Molti circoli artistici d'avanguardia, in particolare i surrealisti, furono estremamente influenzati da questa teoria e dalle sue implicazioni per l'arte.
Lo stesso Freud sosteneva che le sue idee sui sogni fossero state comprese dagli artisti sin dai tempi degli antichi greci. Lo spettatore viene invocato nell'opera proiettando i propri desideri sullo schermo, sul palco o sulla pagina.


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Artisti come Salvador Dalì e André Breton, che hanno firmato il Manifesto Surrealista, hanno concepito la loro arte come espressione esteriore dell'inconscio.
Il contenuto latente di dipinti, film e prose potrebbe essere interpretato in modo simile al modo in cui Freud ha interpretato le immagini dei sogni per il sognatore. Nel corso di oltre un secolo di cinema, gli spettatori hanno sviluppato una certa abitudine a intravedere queste connessioni.
Si può interpretare un coltello in un film dell'orrore come un simbolo fallico o una figura autoritaria maschile come manifestazione di relazioni edipiche.
I critici di Hollywood hanno persino suggerito che tali dispositivi sono ora utilizzati per manipolare ideologicamente i desideri e le aspettative del pubblico.
Molti film-maker hanno anche usato queste connessioni implicite tra linguaggio cinematografico e desiderio per sovvertire le aspettative del pubblico nel loro lavoro, o per impegnarsi in modo più riflessivo sulla psicoanalisi.
Tali film possono forzare una partecipazione più attiva da parte dello spettatore nel processo di creazione di significato che avviene tra film, registi e spettatori.
Altri possono esplorare le pulsioni nascoste ed i desideri di un personaggio o di personaggi in un modo nuovo.
Di seguito è riportato un elenco di film influenzati dalla psicoanalisi.
Poiché la relazione tra cinema e psicoanalisi è lunga e complicata come la storia del film stesso, tuttavia, tale elenco non può essere considerato esauriente.
Le due sorelle (1973)
Questo classico thriller di Brian de Palma, vede Margot Kidder nei panni di Danielle Breton, una modella canadese che è stata separata chirurgicamente dalla sua gemella siamese.
L'influenza della psicoanalisi su questo film è evidente dalla scena di apertura, quando Danielle appare in uno show televisivo chiamato “Peeping Toms”.
Questo tipo di candid-camera mette la gente comune in situazioni compromettenti mentre il pubblico dello show cerca di indovinare cosa succederà dopo. In questo episodio, Danielle interpreta il ruolo di una bella donna cieca che inizia a spogliarsi accidentalmente in una stanza aperta.
L'uomo d'affari Phillip Wood (Lisle Wilson), è il soggetto inconsapevole dello scherzo, che inciampa sulla scena.
Il pubblico dal vivo è incoraggiato a proiettare i propri desideri e le proprie aspettative sulla situazione mentre guardano Phillip scegliere se dire qualcosa, andarsene o stare a guardare Danielle mentre si spoglia.
Le aspettative sono sovvertite, ovviamente, quando Phillip se ne va. Il rifiuto di Phillip di osservare nega il piacere voyeuristico non solo a sé stesso, ma anche, soprattutto allo spettatore. Dopo lo spettacolo, Phillip chiede a Danielle un appuntamento.
Anche se in superficie Danielle sembra essere una giovane donna affascinante ed in salute, i problemi psicologici profondi diventano evidenti subito prima che lei uccida Phillip nel suo appartamento, e successivamente quando accusa la gemella del reato.
La divisione dello schermo impiegata da De Palma in questa scena rispecchia la personalità divisa di Danielle, che subisce un trauma dalla morte di sua sorella durante l'intervento chirurgico di separazione.
Una trama contorta e da incubo viene svelata dopo che una giornalista donna, Grace Collier (Jennifer Salt), ha visto l'omicidio e decide di indagare.
L'angoscia di castrazione maschile è l'indirizzo di questo film cavalcato dal simbolo fallico, che culmina in una lotta tra la vita e la morte su un coltello tra Danielle ed il terapeuta, ex marito, nella scena finale.
L'enigma di Kaspar Hauser (1974)
La vera storia di Kaspar Hauser ha dato al famoso film-maker tedesco Werner Herzog l'oggetto di questa bizzarra e intrigante esplorazione psicologica.
Gli psicoanalisti e gli psicologi hanno sempre sottolineato l'importanza delle influenze sociali e dei fattori ambientali durante l'infanzia per lo sviluppo della personalità ed una sana maturazione.
Per Kaspar Hauser, un trovatello che cresce in una cella senza alcun contatto con il mondo esterno, questi elementi sono totalmente carenti. Quando Kaspar (Bruno Bauer) viene trovato con una nota bizzarra che dice che entrerà a far parte di un reggimento della cavalleria, sembra non possedere alcuna abilità linguistica oltre alla possibilità di ripetere frasi semplici: “Voglio essere un cavaliere, come mio padre era”.
Mentre a Kaspar viene insegnato a leggere, scrivere e parlare dopo essere entrato nella società umana, inizia a comunicare la sua bizzarra storia agli altri.
Comincia ad apparire sempre più riconoscibile, più umano, mentre le sue abilità linguistiche si rafforzano e le sue relazioni sociali si sviluppano. L'importanza dei fattori sociali e ambientali nello sviluppo della psiche umana sono messi in evidenza dallo stile visivo di Herzog.
Gli ampi angoli e la prospettiva distaccata ed oggettiva mantengono l'attenzione sulla dimensione sociale della situazione di Kaspar, piuttosto che sul suo stato psicologico interno.
La pianista (2001)
L'ispirato adattamento di Michael Haneke del romanzo di Elfriede Jelinek è pieno zeppo di influenze dalla psicoanalisi e dalla psicologia freudiana.
Isabelle Huppert interpreta un'insegnante di pianoforte masochista, Erika Kohut, che vive con la propria madre. La sua vita inizia srotolarsi quando si invaghisce di uno studente brillante, Walter Kremmel.
La pianista ritrae splendidamente la relazione tra repressione, spostamento e violenza nella psicoanalisi freudiana. Inizialmente Erika cerca di tenere fuori Walter Kremmel dopo che i due si incontrano, per evitare di essere tentati da questo frutto proibito.
Cerca persino di convincere se stessa che questo è per il suo bene, un mezzo per impedire a Walter di seguirla in un percorso infelice come musicista professionista.
Erika proietta nuovamente i propri sentimenti velati di rammarico e fallimento in una nuova studentessa della scuola, Anna Schober, che percepisce anche essere una minaccia sessuale nella sua enigmatica ricerca di Walter.


Nel tentativo di tenere Anna lontana da lui, Erika ricorre al sabotaggio. Mentre Walter inizia a studiare a scuola, Erika inizialmente si rifiuta di rispondere alle avances del ragazzo.
Mentre la loro relazione si sviluppa, tuttavia, impara a manipolarlo in vari modi, rifiutandosi di fare sesso a meno che non acconsenta a realizzare le sue fantasie violente.
Dogtooth (2009)
Questo bizzarro “esperimento dell'assurdo” è stato diretto dal regista greco Yorgos Lanthimos. I modi in cui il film esplora i temi del linguaggio e della socializzazione richiamano alla mente molte idee sviluppate dalla psicoanalisi e dal filosofo Jacques Lacan.
Sostituendo il modello tripartito freudiano di Io, Es, e Super-Io, Lacan ha introdotto il suo sistema con i concetti del Reale, dell'Immaginario e del Simbolico.
Mentre Freud ha compreso l'inconscio – che più tardi si è tramutato in Es – come l'aspetto centrale, il più significativo, dove la verità nascosta di sé può essere scoperta per raggiungere la catarsi, crescere o svilupparsi , Lacan ha sottolineato i modo in cui arriviamo alla coscienza attraverso il linguaggio.
Persino quello che capiamo essere il nostro vero e più intimo Sè (il Reale) non è disponibile per noi se non attraverso un linguaggio creato socialmente, ciò che Lacan chiama Simbolico.
In Dogtooth, l'approdare alla consapevolezza attraverso il linguaggio che Lacan teorizza è posto davanti e al centro, poiché tre bambini greci sono confinati dai genitori alla proprietà di famiglia per tutta la vita.
Un padre prepotente ed una madre passiva creano un modo assurdo ed un sistema di significato, in cui il gatto di famiglia è un mostro sanguinario e gli aerei che sorvolano il luogo possono cadere dal cielo in qualsiasi momento.
Intriso di ansia e dinamiche psicologiche, questo film esplora come sarebbero le vite se arrivasse alla coscienza una comprensione completamente alternativa della realtà.
A Dangerous Method (2011)
Il film diretto da David Cronenberg vede Viggo Mortensen nel ruolo di Sigmund Freud in questo dramma storico sul rapporto iconico e teso tra il padre della psicoanalisi ed il suo allievo più famoso, Carl Jung.
Jung, interpretato da Michael Fassbinder, è costretto a fare i conti con le differenze professionali tra lui ed il suo insegnante in una relazione legata alle sfumature edipiche.
Uno degli aspetti più interessanti di questo film è il modo in cui interagisce con alcuni dei dilemmi etici affrontati dai primi sostenitori della psicoanalisi.
Quando Sabina Spielrein (Kiera Knightley) si presenta a Zurigo per essere trattata per isteria da Jung, i due sviluppano un attaccamento romantico che minaccia la violazione dei confini professionali.
Jung non è solo costretto a cimentarsi con le questioni morali che circondano tale attaccamento con un paziente, ma diventa chiara che la loro relazione è intrisa dal transfert di una donna instabile.
Il crescente attaccamento tra i due, per Spierlin, non è semplicemente un'espressione dei suoi sentimenti per Jung, ma è ugualmente un'estensione del suo tentativo di venire a patti con l'abuso di suo padre.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro