Cinepsicologia e video annessi
Il cinema prima, la televisione e internet dopo, hanno fatto del Novecento il secolo della narrazione audiovisiva.
Progressivamente, le generazioni si sono succedute esponendosi a dosi sempre maggiori di storie filmate. La televisione, poi, ha introdotto anche un’ulteriore forma di narrazione: quella argomentativa, realizzata soprattutto con documentari e reportage giornalistici.
L’impiego dell’audiovisivo si è diffuso nelle attività più minute, tanto che oggi basta qualche semplice ricerca sul web per trovare il video-tutorial su come rifarsi le unghie, come giocare un videogioco e come risolvere tutti i nostri problemi con questa o quella pratica. Era fatale che la psicologia e i suoi derivati, diventassero parte attiva di questa fascinazione.
A dire il vero, il cinema ha intrecciato quasi da subito rapporti stretti con la psicoanalisi, proprio perché questa è derivata direttamente da Freud. A volte, purtroppo, sovrapponendola o confondendola con la psichiatria: i matti sono sempre stati un’attrazione per gli autori di soggetti cinematografici. Gran parte dei film sulla nostra mente mostrano, in genere, psicoanalisti e psicoterapeuti. A conferma di questo legame, possiamo notare che psicologi e psicoterapeuti che attualmente scrivono o commentano di film lo facciano in chiave simbolica o di rappresentazioni delle relazioni.
C’è stato, nel corso degli ultimi venticinque anni, anche uno scivolamento della figura dello psicologo/psicoterapeuta verso un “tuttologo prêt-a-porter”, preso in ostaggio negli innumerevoli talk show: chiamato a spiegare le bizzarrìe della mente, è diventato un “esperto” buono per tutte le occasioni. Infine, la televisione ha ficcato nel frullatore anche la nuova figura del criminologo che, a prescindere dalle sue reali competenze, viene piazzato a metà strada tra il pubblico ministero e un autore di gialli.
Era fatale che, dopo tanta sovraesposizione (anche gli psicologi da piccoli hanno visto i cartoni animati), questi si ritrovassero con una telecamera in mano. Tutti fanno dei video e la tentazione di riprendersi è fortissima. Generalmente, vengono usati i video per spiegare e dispensare saggezza: dietro una bella scrivania (che dà sempre quel tocco di autorevolezza), si sciorinano concetti e pericoli come fosse una lezione accademica. Poche, veramente poche, le eccezioni a questo schema. Qualcuno si cimenta anche in video destinati alla formazione di questa categoria o di quel ruolo. L’impressione, comunque, è che tutto sia affidato esclusivamente all’intuito ed al riverbero del linguaggio audiovisivo a cui siamo stati esposi fin da piccoli. Anche nei vari gruppi che sorgono su Facebook di psicologia e cinema si nota questo deficit.
Sostanzialmente, chi oggi si occupa di cinema e televisione lo fa da osservatore esterno. Un po’ meglio va con coloro che si occupano di videogiochi, perché generalmente sono, a loro volta, dei videogiocatori. Praticamente nessuno degli psicologi che sparano i propri video nel grande mare del web (figuriamoci in tv!) conosce i fondamenti della produzione di un video. Piani, campi, movimenti di macchina, luce, fotografia, tecniche di montaggio, escamotage narrativi, caratteristiche del suono, dinamiche ritmiche delle musiche e così via.
Ecco che il più sgallettato dei ragazzini youtubers posta le sue performance estemporanee, ma vive e partecipate, e migliaia di clic dei suoi pari fioccano sui contatori. Alcuni sono addirittura molto ben fatti tecnicamente e, quindi, anche godibili e avvincenti.
E noi psicologi? Noi ci arrabattiamo, contenti di vederci in video (maledetto narcisismo) e galleggiamo senza riuscire a sfruttare fino in fondo il trend narrativo del futuro. Magari, se si studiasse un po’…
articolo tratto integralmente dal blog del Dottor Stefano Paolillo (per gentile concessione)