Gioco d'azzardo
Viviamo in una società che sta promuovendo la possibilità di vivere con intensità, la necessità di liberarsi di tutti i legami, confini e vincoli ideologici, familiari, culturali con l'idea che vincere sia facile.
Il gioco nel suo complesso è un’attività realizzata per se stessa in quanto ha il proprio aspetto gratificante in se e non nel fine che raggiunge o nel risultato che produce, come invece accade nell’ambito lavorativo.
Sia nel mondo umano che in quello animale il gioco è principalmente prerogativa di individui giovani tesi all’esplorazione del mondo circostante e all’apprendimento delle regole per controllarlo sul modello adulto.
Uscendo dal gioco infantile come processo di apprendimento, socializzazione e sviluppo intellettivo a cui tutti gli esseri umani sono stati sottoposti, in questo articolo si tratterà la modalità di gioco “adulto” che a volte può assumere dei connotati negativi diventando “azzardo”.
Viviamo in una società che sempre più sta spingendo l’autonomia degli individui, la possibilità di vivere con intensità le straordinarie occasioni che si presentano, la necessità di liberarsi di tutti i legami, confini e vincoli ideologici, familiari, culturali. Ed i messaggi pubblicitari ci ricordano come nulla sia impossibile (“Impossible is nothing”, Adidas) come la stupidità sia un valore – l’intelligenza un problema – e per vivere pienamente sia importante liberarsi dalle proprie inibizioni ("Be Stupid, Goodbye Inibition" Diesel) e vincere sia facile (“Ti piace vincere facile?" Gratta e vinci).
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Di fronte a tutto ciò rischiamo di apparire spaesati: senza punti di rifermento ideologici, spaziali, affettivi, temporali. In questo quadro è paradossale osservare come sempre con maggiore evidenza si stiano diffondendo nuovi e crescenti comportamenti di dipendenza patologica. Forme di addiction che si costruiscono in assenza di un oggetto concreto, di un qualcosa che “entra nel corpo” in grado di modificare e ristrutturare le relazioni e la “biologia" del soggetto. Non è piu’ il malessere della civiltà descritto da Freud : quello dovuto ad un sistema sociale, valoriale e normativo che esaltava e pretendeva il controllo degli impulsi. Al contrario le nuove patologie si distinguono per il difetto di controllo, per l’incapacità nel temperare, procrastinare, dare un senso agli impulsi . Anche i giochi che troviamo rispondono a questo modello. Giochi che sono straordinariamente appetibili grazie ad una pubblicità che stimola le nostre debolezze, i nostri incubi. Nel DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) il GAP (gioco d’azzardo patologico) è oggi inserito nei disturbi correlati da sostanze e disturbi da addiction.
I comportamenti legati al gioco d’azzardo attivano sistemi di ricompensa simili a quelli attivati dalle sostanze di abuso e producono alcuni sintomi comportamentali che sembrano comparabili a quelli prodotti da uso di sostanze.
Non dobbiamo poi andare a cercare il gioco, è il gioco che cerca noi. Nei luoghi diversi ed in ogni momento: nel nostro smartphone, mentre facciamo la fila alla posta, al supermercato, al bar.
Troviamo giochi che sono altamente additivi, ovvero strutturati (velocità , solitudine, riscossione immediata ) in modo da creare compulsività.
Tuttavia pensare al gioco d’azzardo rischia di aprire ad una dimensione che richiama modelli letterari lontani dalla realtà odierna: il giocatore che sfida gli Dei, che si appella a potenze magiche, a stratagemmi e sistemi matematici, illusori, deliranti.. Tutto è cambiato. Dostojevski non abita più qui.
I “nuovi giocatori”, quelli che incontriamo al bar dell’angolo , quelli rinchiusi in una sala giochi, o captati dal proprio schermo del Pc , appaiono invece molto più “banali”. Non più eroi tragici che cercano nel gioco l’eccitazione, la sfida , l’esibizione, la prova delle loro abilità.
Molto più banalmente cercano forse un’evasione temporanea che rischia di non limitarsi ad una semplice parentesi , ma di costruire e costituire un’isola , uno spazio alternativo è preferibile alla vita reale ove potersi rinchiudere: un rifugio. Ecco che allora il gioco diventa per molti il luogo dove imbrigliare ed incanalare molte delle frustrazioni derivate dall’irraggiungibilità’ delle mete di successo e dei valori socialmente auspicati, un contenitore rassicurante per accettare i fallimenti personali senza nemmeno la speranza di uscirne vincitori.
Articolo a cura della Dottoressa Federica Leva