Il mito del benessere
Decisamente l’essere umano non è fatto per essere felice. Basta aprire un giornale o accendere la TV per rendersene conto, oppure anche semplicemente scorrere le pagine Facebook dove, specialmente in questo periodo, spopolano le ricette per la felicità, tra meditazione, rilassamento, autocoscienza, oppure, più spicciativamente, sentenze, precetti, belle uscite poetiche e aneddoti i più diversi che ci indicano le vie per sfuggire al pantano delle nostre paure e della nostra umana povertà.
Sarebbe bello, se fosse vero. Peccato che una bella frase, o una felice intuizione, seppur in grado di colpirci per un attimo, e magari avviare anche un processo di pensiero, restino poi lettera morta nei sargassi delle buone intenzioni.
Molti illustri pensatori, volando alto sulla piccolezza delle loro stesse umane esistenze, ci hanno fornito straordinarie sintesi delle vie che loro stessi avrebbero potuto percorrere …. se solo ci fossero riusciti. Freud per primo (e tutti coloro che frequentano questa pagina avranno capito da un pezzo quanta stima e quanta considerazione io nutra per questo straordinario eppure così quotidiano personaggio) parla apertamente dell’insopportabile peso dell’esistenza e del suo essersi riconosciuto francamente isterico e bisognoso di cure, dopodiché, non essendovi all’epoca altri psicoanalisti oltre a lui, dovette contentarsi di curarsi da solo, con esiti certamente incerti e parziali. Fece della sua piccolezza una teoria ed una prassi che hanno cambiato il mondo, e probabilmente il suo merito più grande fu proprio quello di non essersi lasciato schiacciare dal suo male.
Jung, un altro gigante nella storia della psicologia, ci confessa candidamente di essere andato in giro con una pistola per spararsi quando fosse stato assalito da un ulteriore attacco di depressione, e in “Ricordi, sogni e riflessioni” ci descrive situazioni oniriche al limite della psicosi, il che non gli impedì di proporsi ai suoi seguaci come una specie di guru, sicché la storia della sua vita ci giunge come una sorta di agiografia tutta da decodificare e purificare per intravederne la verità.
Cose analoghe potremmo dire di altre figure capitali della psicologia, come ad esempio Melania Klein e della sua vita tormentata da pessimi rapporti con l’allattamento, con la morte, con le figlie e via discorrendo. E mi accorgo di star parlando solo di protagonisti nel mio campo: ma che dire di altri personaggi più o meno attuali, dai tormenti di Leopardi alleviati solo da una poesia sublime, alla testa spiccata dal busto di Golia in cui il Caravaggio ritrae se stesso, agli attacchi di panico del Manzoni - che lui stesso ci descrive con straordinaria lucidità, pur non sapendo bene di cosa si trattasse - ed al suo rifugiarsi nella fede e nella Divina Provvidenza? O nell’ulcera cancerosa che uccise Napoleone, chiarissima somatizzazione di una grandezza decaduta? O ancora dello stesso Dante, la cui opera straordinaria muove in fondo dalla rabbia dell’esilio, come lui stesso ci fa capire attraverso la struttura stessa del sommo Poema?
Decisamente, la felicità non è di questo mondo. Anzi, sembra che le cose più significative ed alte, quelle che realmente ci definiscono come esseri umani, nascano e siano nate dal dolore e dai bisogni più urgenti. Dunque, sembra proprio che una certa dose di sofferenza e di dolore siano parte integrante e necessaria della vita, ed anzi che costituisca in qualche modo il carburante necessario all’evoluzione, alla crescita ed alla creazione. Viene dunque spontaneo chiedersi se la terra promessa del “benessere” - un termine figlio del marketing, che personalmente trovo assolutamente idiota - non sia altro che una colossale bufala.
E’ vero, ci possiamo “distrarre” dai nostri problemi, ed anzi direi che in una certa misura sia assolutamente giusto e necessario. Ma dobbiamo stare attenti a che, di distrazione in distrazione, non si scivoli nel vuoto e nella mancanza di senso, che fatalmente ci portano nella depressione più nera e talvolta nella follia, come mi pare che dimostri l’andamento attuale della nostra civiltà così ricca di fatue tentazioni.
Alquanto diverso è invece il discorso dei sintomi, che non fanno assolutamente parte dell’equilibrio di chiaroscuri necessario dell’esistenza, ma che invece rappresentano il segnale d’allarme che da qualche parte, nell’intimo, c’è qualcosa che non va e che non dovrebbe esserci. Allora, e solo allora, si giustifica l’intervento dello psicologo, l’unica figura in possesso degli strumenti e della tecnica che gli consentono di addentrarsi senza rischi nei meandri della mente. Ma con un’avvertenza: se chi promette il benessere e la pienezza della mente è un pericoloso venditore di fumo, lo psicologo (quello vero) non promette in alcun modo la felicità, ma più modestamente tenta di restituire alle persone la capacità di farcela da soli nell’affrontare le inevitabili avversità della vita.
Dottor Claudio Nudi - Psicologo, Psicoterapeuta