Il nuovo punto della situazione sulla progressione della Malattia d’Alzheimer.
Uno studio ribalta le concezioni finora acquisite sullo sviluppo di questa patologia.
La Malattia d’Alzheimer è un disturbo neurodegenerativo, per il quale, nonostante anni ed anni di ricerca, non ci sono trattamenti o cure efficaci.
Tuttavia, le recenti scoperte nel campo della genetica molecolare hanno mostrato che il disturbo potrebbe diffondersi, come un’infezione, tra aree del cervello strettamente connesse.
Questi risultati sottolineano la necessità che la ricerca si concentri nel delineare la diffusione di questa patologia sin dalle origini, così che possano essere sviluppate terapie che vadano ad agire sulle aree coinvolte.
Una collaborazione internazionale tra il Dott. Nathan Spreng, assistente professore di Human Development della Cornell University e the Rebecca Q. and James C. Morgan Sesquicentennial Faculty Fellow in the College of Human Ecology, e la Dott. essa Taylor Schmitz, del Cognitive Brain Sciences Unit dell’University of Cambridge, mette in evidenza la regione del proencefalo basale, dove la degenerazione del tessuto neuronale, causata dalla Malattia di Alzheimer, appare ben prima che emergano i sintomi cognitivi e comportamentali del disturbo.
Il proencefalo basale, infatti, contiene un ampio numero di neuroni ad alta intensità, connessi tra di loro, i quali sono particolarmente vulnerabili al disturbo.
La Dott. essa Schmitz ed il Dott. Spreng affermano che, man mano che l’Alzheimer progredisce, la degenerazione del proencefalo basale predice la successiva degenerazione nelle regioni cerebrali del lobo temporale, coinvolte nella memoria.
È vero che, come dimostrano altre ricerche correlate, la Malattia, in realtà, impiega del tempo a diffondersi tra le regioni cerebrali, ma questo studio è importante perché contesta una credenza, ampiamente sostenuta, per la quale esso origina nel lobo temporale.
“Speriamo che questo lavoro porti gli studiosi a riorganizzare il campo di ricerca, per riconsiderare da dove origina il disturbo”, ha spiegato il Dott. Spreng. “Ciò potrebbe aprire nuove strade d’intervento; sicuramente nella fase di rilevazione”.
Lo studio ed i risultati.
Quanto riferito dagli studiosi è il prodotto di uno studio, durato due anni, su un ampio campione di anziani, raggruppati per età.
All’interno di questo insieme, un gruppo aveva un livello cognitivo nella norma, secondo quanto emergeva dai test standard, mentre gli altri erano caratterizzati da diversi livelli di compromissione cognitiva:
• Individui con Deterioramento Cognitivo Lieve (MCI), che non sviluppavano la Malattia di Alzheimer;
• Individui con MCI, che svilupparono la Malattia di Alzheimer dopo un anno; e
• Individui che avevano già la Malattia.
Attraverso l’analisi delle immagini anatomiche ad alta risoluzione dei volumi cerebrali, effettuata per tre volte durante i due anni dello studio, i ricercatori riuscirono a determinare che gli individui con MCI o Malattia di Alzheimer avevano delle perdite più consistenti nel volume della materia grigia, sia nel proencefalo basale, che nel lobo temporale, rispetto ai controlli con livello cognitivo nella norma.
Inoltre, essi hanno mostrato che, in questo periodo, la degenerazione del tessuto neuronale nel proencefalo basale prediceva la successiva degenerazione tissutale nel lobo temporale, ma non viceversa.
Qual è il ruolo della Beta-amiloide nel nuovo modello?
Il Dott. Spreng ha spiegato che un campionamento del fluido spinale, proveniente da adulti sani, può rilevare un livello anormale della proteina beta amiloide, segnale rivelatore della Malattia di Alzheimer.
I risultati del test mostrarono che i lobi temporali apparivano uguali, indipendentemente dal livello della amiloide, ma il proencefalo basale mostrava una degenerazione notevole tra quegli adulti apparentemente sani, ma con livelli anormali di questa proteina.
Considerazioni.
Il Dott. Spreng ammette che essere capaci di predire chi svilupperà tale patologia non significa molto senza un protocollo per trattare e curare, in definitiva, il disturbo.
“Il lavoro futuro della genetica molecolare rappresenta una grande promessa per le strategie terapeutiche in via di sviluppo, volte a prevenire la diffusione della patologia, a partire da stadi della Malattia che precedono il declino cognitivo”, ha concluso la Dott. essa Schmitz. “L’aver indicato un punto più precoce, in cui origina la diffusione dell’Alzheimer, è, quindi, di massima importanza per fornire una guida nel combattere questo disturbo devastante”.
Fonte: CornellUniversity.edu (www.news.cornell.edu)
(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)