Il panico è davvero sconfitto?
Non si può parlare di completa guarigione se restiamo legati alle nostre illusorie “ancore di salvezza” (le gocce di ansiolitico, la bottiglietta d’acqua, il cellulare).
I "safety behaviours", o comportamenti protettivi, sono strategie che la persona con disturbo di panico e agorafobia (ma anche con altri disturbi d'ansia, come disturbo d'ansia generalizzato, disturbo ossessivo-compulsivo, fobia sociale), mette in atto per evitare le conseguenze catastrofiche temute (es. svenire, avere un infarto, perdere il controllo).
Questi comprendono sia l'evitamento di alcune situazioni, che la fuga da esse; esistono poi strategie protettive più "sottili", come per esempio portare sempre con sé una bottiglietta d'acqua, i propri medicinali, o il cellulare.
Se nel breve termine questi comportamenti producono un abbassamento del disagio, nel tempo provocano come effetto secondario il mantenimento (e in alcuni casi l'esacerbazione) della sintomatologia ansiosa, poiché non permettono al soggetto di sperimentare la falsificazione delle proprie cognizioni errate. La persona tenderà ad attribuire il merito dell'assenza di ansia all'oggetto che ha portato con sé.
Mi spiego meglio. Una persona con disturbo di panico sperimenterà un intenso disagio all'idea di trovarsi, per esempio, in coda al supermercato, poiché temerà di trovarsi senza via d'uscita qualora le si presentassero i sintomi dell'attacco di panico (es. tachicardia, sensazione di mancanza d'aria, "nodo alla gola", tremori, sudorazione, ecc.).
Se questa persona decidesse di affrontare la situazione "supermercato" nonostante l'ansia, portando con sé la bottiglietta d'acqua (o le gocce di Xanax, o qualsiasi oggetto la aiuti in quel momento), si potrebbe verificare la seguente situazione: riuscirà ad andare al supermercato, probabilmente l'ansia non arriverà a livelli troppo intensi, e la persona attribuirà il merito di questo successo alla sua bottiglietta di acqua, con pensieri del tipo "se non avessi avuto con me l'acqua non ci sarei mai riuscita" (in realtà spesso la persona non utilizza nemmeno l'oggetto di sicurezza, ma ha bisogno di saperlo comunque a portata di mano).
In questo modo diventerà sempre più dipendente dall'oggetto in questione, diminuirà il proprio senso di autoefficacia ("senza un appoggio non ce la posso fare"), la sua autostima ("come sono diventata? Non posso più uscire senza la bottiglietta d'acqua!"), e probabilmente il suo umore ("la mia vita non mi piace", "sarà sempre così", "le cose non miglioreranno mai").
La terapia cognitivo-comportamentale può aiutare la persona ad abbandonare, progressivamente, questi "comportamenti protettivi", per riprendere in mano la propria vita.
Quando una persona con disturbo di panico e agorafobia inizia una terapia, la prima cosa da fare è quella di dare un senso a ciò che sta vivendo, scoprendo i meccanismi con cui l'ansia si mantiene e si aggrava. Tramite tecniche di respirazione lenta si può apprendere uno strumento utile per gestire l'ansia ai suoi primi segnali. Si lavora poi sul piano comportamentale, affrontando pian piano, in maniera graduale, le situazioni che la persona evita. E, certamente, andranno analizzati i pensieri che le causano ansia, partendo dal presupposto, base della terapia cognitivo-comportamentale, secondo cui non sono le situazioni in loro stesse a creare determinate emozioni, bensì l'interpretazione che di esse ognuno di noi dà.
I pensieri più disfunzionali possono essere modificati, in modo da causare emozioni meno distruttive e/o intense. Durante la fase di esposizione alle situazioni temute, i comportamenti protettivi possono essere mantenuti, anzi, il loro utilizzo può aiutare la terapia. L'aspetto importante è però, nel corso del trattamento, quello di far abbandonare poco alla volta questi comportamenti di sicurezza al paziente, per evitare che ne diventi dipendente, e che gli esiti clinici rimangano vincolati alla loro messa in atto. Un miglioramento sintomatologico non sarà del tutto soddisfacente, infatti, se la persona continuerà a mettere in atto i suoi safety behaviours. Questi comportamenti andrebbero usati in maniera limitata e solo per un determinato periodo della terapia.
Se nell'immediato questi producono un abbassamento del disagio, infatti, nel tempo provocano come effetto secondario il mantenimento dell'ansia.
Nella pratica clinica capita di vedere pazienti che, una volta diminuita l'ansia nelle situazioni temute (es. supermercato, posta, farmacia, banca, treni, ecc.) preferiscono interrompere la terapia, ritenendosi soddisfatti. Il mio consiglio è sempre quello di lavorare anche per l'eliminazione dei comportamenti protettivi, perché se è vero che riuscire a tornare a salire sui mezzi pubblici o a fare la spesa è un grande traguardo, cosa succede se un giorno dimenticate la bottiglietta d'acqua (o le gocce, oil cellulare, ecc.) a casa? Probabilmente sperimenterete nuovamente l'ansia, mentre quello che a noi interessa è tornare/diventare finalmente liberi. Liberi di scegliere se portare con noi un oggetto o farci accompagnare da una persona, oppure no. Questi comportamenti devono diventare scelte, non più obblighi o bisogni.
Quello che una buona psicoterapia dovrebbe riuscire a dare è la libertà. Libertà dall'ansia, libertà dal disagio, libertà, perché no, anche dalla bottiglietta d'acqua di cui si era diventati schiavi.
BIBLIOGRAFIA
- Milosevic I., Radomsky A.S. (2008). Safety behaviour does not necessarily interfere with exposure therapy. Behaviour Research and Therapy, 46, 1111-1118.
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- Salkovskis P.M., Clark D.M., Hackmann A., Wells A., Gelder M.G. (1999). An experimental investigation of the role of safety-seeking behaviours in the maintenance of panic disorder with agoraphobia. Behaviour Research and Therapy, 37, 559-574.
A cura della Dottoressa Roberta Rubboli
Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale - Cervia