Il piacere e l'attesa
Articolo a cura del Dottor Claudio Nudi
La professione dello psicoanalista è una questione tutt'altro che semplice, sempre in bilico com'è tra la richiesta di aiuto, la voglia dei nostri pazienti di cambiare ma anche la naturale inerzia della psiche, sicché ogni persona, già diversa di suo da tutte le altre, da un lato vuole guarire dai suoi problemi ma dall'altro vi si oppone, inconsapevolmente, con tutte le forze.
A questa tendenza universale dobbiamo oggi aggiungere un nuovo elemento sfavorevole, vorrei dire un nemico in più, rappresentato da un certo modello di società che ci dà l'illusione che tutto sia possibile, che da qualche parte possa esistere una libertà senza limiti, che il benessere vero non consista nello stare ragionevolmente in pace con se stessi e con gli altri ma in un trattamento estetico o dietetico da acquistare in farmacia, in un corso di Zumba o di Salsa, in un Selfie che fa tanto trendy o in un viaggio a Formentera.
Il pasticcio nasce, a mio parere, da un sistema economico fondato sull'obbligo del consumo, senza di cui tutto si ferma, le fabbriche chiudono, si perdono posti di lavoro e via discorrendo; forse non è il migliore dei mondi possibili, ma questo è quanto siamo stati in grado di costruire fino ad oggi, e non possiamo non farci i conti.
E' però vero anche un altro fatto, e cioè che una cosa è informare il consumatore che esiste il tal prodotto, altra quello di solleticarne le tendenze più regressive illudendolo che la libertà si possa comprare acquistando una macchina, o che viaggiando si faccia colpo su donne meravigliose, o che si diventi belli anche se si è brutti, o ancora, e non da ultimo, che attraverso il gioco d'azzardo si possa davvero diventare ricchi e cambiare in un sol colpo la propria vita.
Ho preso ad esempio il meccanismo pubblicitario perché è quello che più apertamente, spesso sfacciatamente, tenta di sedurci con le sue illusioni; ma a ben guardare, più o meno sottilmente questo messaggio trapela da ogni parte: mezzi di informazione, cinema, programmi televisivi e chi più ne ha più ne metta. Coltivano ed implementano il nostro sognare, ne amplificano a dismisura i già vaghi confini, e non ci vuol molto a rendersi conto, con buona pace di Karl Popper che ce ne avvertì sul letto di morte, che siamo di fronte ad una nuova forma di controllo sociale fondato sull'uso (e spesso l'abuso) della fantasia. E intanto piove sul bagnato, la forbice si allarga ed i ricchi (quelli veri) diventano più ricchi ed i poveri più poveri.
Non faccio parte della categoria dei complottisti. Già nell'antica Roma avevano capito benissimo che il popolo andava controllato e tenuto buono, ed i giochi nel circo ne sono la conferma più evidente e riconosciuta. Ciò che contesto non è che ci sia, ed anzi debba esserci, una qualche forma di controllo sociale, ma che il tipo di controllo di cui sto discutendo, fondato sull'implementazione del desiderio e sull'abolizione del limite, è particolarmente insidioso e sta avendo ricadute imprevedibili e terribilmente dannose su tutto il sistema.
E' mia opinione che vi sia una correlazione precisa tra questo stato di cose e certi fatti che negli ultimi anni ci hanno sbigottito per la loro assurda ferocia, alcuni dei quali ho riportato su questa stessa pagina, ed a cui diversi lettori hanno risposto con commenti desolati chiedendosi se e come sia possibile invertire la tendenza. Ovviamente non sta allo psicologo suggerire metodi concreti per risolvere i problemi: ma egli può, forse, invitare al pensiero ed implicitamente indicare una via in base ai risultati di più di un secolo di cultura psicoanalitica.
La riflessione è la seguente: pensandoci bene, dal punto di vista dello psicologo non c'è poi questa gran differenza tra, ad esempio, l'assunzione di una droga, il gioco compulsivo, uno stupro collettivo e, poniamo, un assassinio. Sembrano eventi molto diversi, ed in effetti lo sono: ma hanno anche un fortissimo tratto comune di fondo, che risiede nella progressiva perdita della capacità di attendere, di riflettere, di differire, di elaborare, di darsi dei limiti, di comunicare davvero e non virtualmente.
A ben guardare, questi fatti apparentemente così diversi tra loro sono tutti eventi impulsivi e non meditati, conseguenza diretta di un non - pensiero di tipo magico che probabilmente è uno dei mali peggiori di questo tipo di società.
Molto giustamente il collega Recalcati, una mente assai acuta nel panorama psicoanalitico italiano, definisce questo clima psicologico "modello allucinatorio": la mia realtà in questo momento non mi piace, darmi da fare per modificarla è lungo e faticoso, e dunque passo all'azione senza tener conto delle conseguenze. E allora faccio fuori mia moglie per essere libero di andarmene con un'altra donna, o mia madre perché non mi dà i soldi della pensione per andarmi a sballare e via discorrendo; oppure faccio debiti a dismisura e operazioni finanziarie fondate sul nulla tanto domani Dio provvede, oppure, in casi estremi, prendo un bastone e vado in giro ad ammazzare la gente senza un motivo.
Francamente, a me non stupisce per niente il fatto che gli "anelli deboli" della catena, che hanno introiettato e fatto proprio il messaggio del "tutto e subito" possano cedere e fare gesti inconsulti di fronte agli argini imposti dalla realtà concreta.
C'è un'ultima considerazione da fare, ma di questo riparleremo meglio in seguito. In un'ottica di "tutto e subito" ogni tipo di godimento diventa effimero, e si attiva un altro circolo vizioso che è quello dell'insoddisfazione cronica e del "non basta mai". E da lì all'angoscia e alla depressione il passo è breve. Chissà. Forse l'attuale crisi finanziaria, anch'essa nata dalla travalicazione allucinatoria di un limite, avrà almeno un risvolto psicologicamente positivo, costringendo tutti a riprendere coscienza non dell'insofferenza, ma della necessità di un limite senza il quale si rischia di precipitare nel caos, e, letteralmente, nella follia.
(Dottor. Claudio Nudi - Psicologo clinico e Psicoanalista)