Isolamento sociale e conseguenze psicopatologiche
L’isolamento sociale, utilizzato spesso all’interno dei servizi giudiziari penitenziari, può determinare condizioni mentali patologiche come depressione, ansia, aumento dell’eccitazione e autolesionismo.
È possibile sapere cosa sta accadendo nella mente quando siamo fisicamente e socialmente isolati?
Originariamente creato negli anni ’50 per studiare la coscienza, i serbatoi di deprivazione sensoriale possono fornire una visione d’insieme.
Conosciuto anche come “camera di isolamento” o “serbatoio di galleggiamento”, un tipico serbatoio di deprivazione sensoriale è una scatola scura senza finestre abbastanza grande da ospitare un adulto.
Il cliente, nudo o con abiti minimi, è posto in una soluzione salina tiepida che crea una sensazione “fluttuante”; l’oscurità estrema gli rende quasi impossibile vedere qualcosa, inclusa la propria mano davanti al volto.
Non vi sono odori, gusti o suoni ad eccezione di quelli che compie il soggetto. La filosofia che sta alla base del progetto è quello di ridurre al minimo la stimolazione sensoriale possibile; in sostanza, non si può sentire, assaggiare, toccare, odorare o vedere.
John Lilly è l’inventore della camera di isolamento, e la costruì per testare gli effetti sul cervello umano della deprivazione sensoriale controllata.
La teoria partiva da un assunto ben preciso: visto che l’attività cerebrale aumenta o si riduce a seconda degli stimoli esterni ai quali siamo sottoposti, privare il cervello di ogni stimolo dovrebbe indurre uno stato di rilassamento totale che conduce al sonno.
In sostanza, all’interno della camera non si può sentire, assaggiare, toccare, odorare o vedere; quando le informazioni in ingresso vengono minimizzate o eliminate, gli effetti possono essere ingannevoli.


Dal punto di vista neuropsicologico, il cervello umano è stato progettato per elaborare le informazioni sensoriali.
Al livello più elementare, la mente elabora le informazioni attraverso le nostre cinque modalità sensoriali: gusto, tatto, olfatto, vista e udito.
In altre parole, i nostri cervelli sono stati modellati dall’evoluzione per elaborare stimoli in arrivo; quelle informazioni vengono poi utilizzate per dirigere le decisioni comportamentali che ci guidano attraverso il mondo.
Gli esseri umani sono quindi le creature più sociali del pianeta, e molte di queste decisioni comportano una navigazione nel mondo sociale.
Seguendo una prospettiva evolutiva, la mente non è progettata per gestire condizioni di isolamento moderno.
Per almeno cinque milioni di anni, gli esseri umani hanno affrontato problemi di adattamento posti dal nostro ambiente sociale, ad esempio, decodificando le espressioni emotive, comunicando gli stati mentali interni agli altri e così via.
Così abbiamo formato un repertorio psicologico che comprende meccanismi progettati per risolvere questi problemi sociali.
Il kit di strumenti mentali degli ominidi è pertanto dotato di molte soluzioni ai problemi sociali, ma niente è stato progettato per risolvere l’isolamento fisico e sociale totale.
Questo a sua volta, dà spazio allo sviluppo e all’espressione di molte delle malattie mentali che vediamo nelle unità di confinamento delle prigioni di tutto il mondo.
L’isolamento è attualmente utilizzato nei sistemi di giustizia penitenziaria in tutto il mondo come mezzo per gestire i detenuti più “difficili”.
In linea generale, il metodo prevede l’immissione di un detenuto in una cella appartata con poca o nessuna interazione sociale; anche se ampiamente praticata, la letteratura evidenzia come questa produca risultati psicologici negativi.
L’isolamento sociale può infatti determinare condizioni mentali patologiche come depressione, ansia, aumento dell’eccitazione e autolesionismo.
Nel famoso esperimento del Dottor Zimbardo, la Stanford Prison, del 1971, uno dei partecipanti volontari, assegnato casualmente al ruolo di detenuto, prigioniero 819, si rifiutò di mangiare il suo pasto quando gli venne ordinato dalle guardie in servizio.


Fu successivamente messo in isolamento, ossia una cella che in realtà era un armadio, come punizione per le sue azioni.
In qualità di soggetti che detenevano il potere in quel momento, le guardie hanno ritenuto necessario esercitare la loro autorità su di lui per fermare rapidamente i comportamenti disobbedienti.
Alla fine, il prigioniero 819 ebbe un crollo psichico ed emotivo, e abbandonò l’esperimento.
Naturalmente, variabili come la durata dell’isolamento, l’età e le condizioni mentali preesistenti dovrebbero essere incluse come fattori di rischio psicologico per la salute in qualsiasi discussione sugli effetti dell’isolamento.
Esiste quasi certamente un effetto cumulativo di ripetuti isolamenti sociali per tutta la vita che possono influenzare in modo diverso i giovani e gli anziani.
Volendo concludere, il modello della psicologia evolutiva, rispetto alle pratiche di isolamento, sottolinea la “mancanza di idoneità” tra l’ambiente probabile che i nostri antenati hanno affrontato e le attuali caratteristiche del mondo moderno.
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)