L’ira funesta di Achille: Capire e trattare emozioni violente di ira, collera e furore
Difficile crederlo, però la rabbia serve. Madre natura ci ha regalato quest’emozione per aiutarci a sopravvivere.
L’ira è come il dolore. Un campanello d'allarme che trilla quando qualcosa di nocivo ci sta accadendo. Un messaggio d'allerta che avvisa il nostro organismo di qualche minaccia. E lo fa prontamente reagire. Così come un insistente mal di pancia ci convince a chiamare il medico, la clacsonata in coda al semaforo o il commento al vetriolo del parente ci fa imbufalire: una reazione per permetterci di attaccare, diciamo così, chi ci attacca. E fin qui, il nostro più o meno folcloristico repertorio di imprecazioni e gestacci rientra pienamente nei programmi della fisiologia.
I guai cominciano quando la rabbia smette di essere uno sfogo occasionale, dettato dalle piccole e non piccole provocazioni della vita, e diventa invece un malessere cronico.
Una velenosa condizione che ci porta a scaricare la tensione del momento su chi ci sta di fronte. Una marea acida che si abbatte su tutto e tutti. E finisce inevitabilmente per far terra bruciata attorno a noi...Insomma: all’ufficio postale c’è chi sbuffa rispettosamente, in fila dinanzi all'unico e affollatissimo sportello aperto dei cinque disponibili, e chi comincia a sbraitare come un ossesso contro gli impiegati. Sarà anche fastidiosa, ma quell’attesa non è mica una minaccia alla nostra sopravvivenza. Eppure certe persone si lasciano andare alla collera più nera. Perché? Sono solo «caratteracci? «No. “Qualcosa” si agita nell'animo di questi individui.
Tecnicamente l’ira può essere definita come uno stato emotivo-affettivo caratterizzato da una crescente eccitazione che si esprime a livello verbale e-o motorio e che può culminare in comportamenti aggressivi e distruttivi nei confronti di oggetti, altre persone o anche di se stessi.
(Ellis, A. 1977)
Essa si manifesta solitamente quando si ritiene siano stati calpestati i propri diritti o violati i propri valori, ma non sempre è commisurata all’importanza del danno o della frustrazione patita anzi spesso viene espressa maniera del tutto irragionevole e sproporzionata. L’ira e i suoi sinonimi quali rabbia, collera, furia, non deve in alcun modo essere confusa con l’aggressività, che invece è una modalità di espressione delle emozioni, né tantomeno con l’odio, che è un sentimento che raggiunge i suoi scopi distruttivi solo attraverso le vie della razionalità e del calcolo.
Nell’ambito di questo articolo si useranno indifferentemente i vocaboli ira, collera, rabbia per indicare sempre lo stesso stato psicologico.
Tutti i termini che identificano questo stato psicologico hanno in comune il fatto che mostrano una etimologia che fa riferimento ad una patologia specifica oppure hanno origine da un lemma che rappresentava una situazione di alterazione fisiologica o psicologica dell’individuo. Così il termine rabbia indica una infezione virale a prognosi infausta trasmessa dal morso del cane all’uomo, il termine collera che deriva dal latino chòlera e dal greco cholèra è riconducibile ad un genere di acuto e fiero morbo che conturba le viscere, il colera infezione batterica che colpisce l’uomo a livello gastrointestinale, ed infine ira, che i latini indicavano come initium insanie, cioè un semplice avvio verso la follia la cui radice lessicale può anche essere ricondotta al termine greco orghè, da cui deriva anche la parola orgia, mettendo così in comune fra i due termini l'istintività brutale.
Anche nel comune parlare si tende a fare assumere a questo stato psicologico una condizione di patologia, con espressioni del tipo “ho avuto un travaso di bile”, “mi brucia dentro”, “mi sta mangiando dentro”, “non ci vedo più” oppure di incapacità di controllo delle proprie azioni come “mi va il sangue alla testa”, “mi fa impazzire” con il rischio, in questo modo, di creare i presupposti culturali per giustificare sempre un comportamento nel quale sovente il soggetto allenta volontariamente le paratie di difesa e di razionalità o dove perlomeno ha sempre una possibilità di scelta, contrariamente alla follia che non consente il dominio, il controllo e il coordinamento delle proprie azioni.
Per quanto concerne invece il sostantivo furia l’origine va fatta risalire alle furie, dee della vendetta, fantasmi degli assassinati, che nascono dalle gocce di sangue provenienti dalla mutilazione di Urano, simboleggiando di fatto una castrazione.
Tutto ciò fa assumere alla rabbia una connotazione negativa, soprattutto se abbinata a manifestazioni di aggressività fisica o verbale da cui sfociano con frequenza e veemenza comportamenti antisociali.
La rabbia è la reazione ad un limite, rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica: i bambini si arrabbiano violentemente, con le cose, con i divieti e le persone.
Tuttavia, la costrizione e la frustrazione non costituiscono in sé le condizioni sufficienti e neppure necessarie perché si origini il sentimento della rabbia. La relazione causale che lega la frustrazione alla rabbia non è affatto semplice. Altri fattori sembrano infatti implicati affinché origini l'emozione della rabbia. La responsabilità e la consapevolezza che si attribuisce alla persona che induce frustrazione o costrizione sembrano essere altri importanti fattori.
Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell'attivare una emozione di rabbia sembra cioè essere la volontà che si attribuisce all'altro di ferire e l'eventuale possibilità di evitare l'evento o situazione frustrante. (Berkowitz L., 1993).
Insomma ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l'intenzionalità di ostacolare l'appagamento.
L'emozione della rabbia può essere quindi definita come la reazione che consegue ad una precisa sequenza di eventi (Lerner H.,2002):
- stato di bisogno
- oggetto (vivente o non vivente) che si oppone alla realizzazione di tale bisogno
- attribuzione a tale oggetto dell'intenzionalità di opporsi
- assenza di paura verso l'oggetto frustrante
- forte intenzione di attaccare, aggredire l'oggetto frustrante
- azione di aggressione che si realizza mediante l'attacco
Le ricerche compiute sul comportamento di specie diverse dall'uomo ci hanno mostrato che l'ira e le frequenti manifestazioni aggressive che ne conseguono sono scatenate da motivi direttamente legati alla sopravvivenza dell'individuo e dei piccoli, nonché alla difesa del cibo e del territorio.( Davey L., Day A., Kevin Howells K., 2004),
Negli esseri umani, alla base dei motivi più spesso addotti per giustificare un attacco di rabbia, c'è il desiderio di affermare la propria indipendenza e quello di migliorare la propria immagine, raddrizzando una situazione che ci fa torto e/o che ci sembra sbagliata.
Averill ha pubblicato nel 1982 una fondamentale ricerca sulla rabbia che ha costituito una pietra miliare per molti studi successivi e che non è mai stata smentita nei suoi risultati complessivi. Nell'ambito di questo studio, insieme empirico e terorico, ha molto spazio l'analisi circa le ragioni addotte e gli scopi che comunemente ci si prefigge di raggiungere manifestando l'ira. Averill ha trovato che esistono tre tipi di rabbia, ciascuno dei quali assolve a funzioni abbastanza diverse:
- la rabbia malevola, che ha lo scopo di rompere o peggiorare i rapporti con l'altra persona, di vendicarsi per un torto subito e comunque per esprimere odio e disapprovazione.
- la rabbia costruttiva, che tende a modificare il comportamento altrui, a rendere più stretta la relazione con la persona con cui ci si arrabbia, ad asserire la propria libertà e indipendenza, a ottenere che gli altri facciano qualcosa di utile a se stessi;
- la rabbia esplosiva, che serve principalmente per dare sfogo alla tensione e manifestare l'aggressività, con le probabili funzioni aggiuntive di rompere il rapporto o di rivalersi per un torto subito.
Da una ricerca condotta da Hermina Van Collie, Iven Van Mechelen, Eva Ceulemans, dal titolo “Multidimensional individual differences in anger-related behaviours” la tassonomica della rabbia comprende tre modalità aggressive (fisica, verbale e autodiretta) e cinque modalità non aggressive (parlare, allontanarsi, esprimere, rilassarsi e sopportare). In modo dettagliato possiamo osservare la seguente tabella completa anche di esempi di comportamento:
Manifestazione della rabbia | Descrizione del comportamento | esempi |
Aggressione fisica | Ogni forma di aggressione fisica | Sbattere le porte, colpire qualcuno, lanciare oggetti |
Aggressione verbale | Ogni forma di aggressione esclusivamente verbale | gridare, inveire, insultare |
Aggressione autodiretta | Azioni aggressive contro se stessi | Ubriacarsi, azioni di autolesionismo |
Parlare della propria rabbia | Parlare del fatto che ha scatenato la rabbia con la persona con la quale si è avuto il contrasto, o con altri, senza acredine | Parlare in modo amichevole o comunque accomodante |
Allontanarsi | Allontanarsi fisicamente o creare un distacco verbale dalla persona con la quale si è in disaccordo o dalla situazione difficile, senza fare niente altro | Correre via, fuggire, allontanarsi, stare in silenzio |
Manifestazioni fisiche di diverso genere – atti espressivi | Mostrare spostamenti o movimenti senza alcuna forma di aggressione ad altre persone | piangere, sospirare, singhiozzare |
Ridurre la tensione o rilassarsi | Fare in modo di esprimere la la tensione in maniera non distruttiva o tentare di rilassarsi | Fare attività sportive, correre, ascoltare musica |
Tentare di allontanare la rabbia da sé | Cercare di sopportare l’accadimento in modo passivo o attendere il calo dell’impulso | Mettere le cose in modo tale da non fare nulla, stare calmi |
Gli Autori dello studio descrivono modalità non aggressive di espressione della rabbia, tuttavia, pochi di noi sono abituati a considerare la rabbia positivamente.
Nella specie umana, di solito, si assiste non solo ad una inibizione della tendenza all'azione di aggressione e attacco ma addirittura al mascheramento dei segnali della rabbia verso l'oggetto frustrante.
La cultura e le regole sociali a volte impediscono di dirigere la manifestazione e l'azione direttamente verso l'agente che scatena la rabbia.
Tra le emozioni, la rabbia, è infatti socialmente mal tollerata e la sua esternazione è spesso giudicata in modo pesantemente negativo dal bon ton. I tabù che circondano il sentire e l’esprimere la rabbia - in particolare per le donne - sono così vincolanti che diventa difficile perfino per loro capire quando sono arrabbiate.
Secondo Umberto Galimberti, (????) esiste una differenza nell’espressione della rabbia fra genere femminile e genere maschile:
"la reazione irata maschile è prevalentemente sul piano fisico con sopraffazioni e violenze che talvolta neppure le mura domestiche o le porte blindate riescono a contenere, mentre la reazione femminile tende a colpire sul piano economico e su quello affettivo con il ricatto dei figli" inoltre “le donne si arrabbiano in modo diverso dagli uomini: preferiscono interrompere il contatto oculare ed evitare il dialogo piuttosto che esprimere energicamente il proprio dissenso” oppure “le donne, invece di esprimere direttamente la loro rabbia, preferiscono ricorrere ad attacchi psicologici come la maldicenza o l’ostracismo sociale oppure sfogare la propria rabbia su una persona diversa da quella che l’ha provocata, adottando il meccanismo dello spostamento”
Ogle e collaboratori (1995) in una ricerca condotta sul tema, hanno confermato che le norme sociali inibiscono le espressioni di rabbia delle donne, obbligando le stesse ad attuare una soppressione nell’espressione dell’emozione; il risultato è un blocco nello sviluppo di strategie atte a regolarne la corretta esternazione. Pertanto le donne potrebbero presentare un elevato livello di repressione della rabbia e quindi uno sviluppo scorretto delle modalità di gestione e manifestazione di questa emozione.
Anche in termini sociologici la collera è percepita in modo differente: questa emozione si differenzia maggiormente per genere, età, status sociale, ma anche per etnia. Infatti è piuttosto interessante notare che alcune popolazioni, come ad esempio gli eschimesi Ukta, non provano rabbia, ma forse la provano manifestandola in modo completamente diverso rispetto ad altri popoli, tant’è che definiscono infantili le manifestazioni di rabbia osservate negli stranieri; diversamente la reazione di collera ad una offesa è pienamente approvata in Albania ed espressione di dignità presso i beduini. La spiegazione riguardo questa differente modalità espressiva degli stati di collera è da ricondurre al fatto che essa, come le altre emozioni, è soggetta a regole sociali di valutazione, di comportamento (proscrittive e prescrittive) che variano da cultura a cultura da epoca ad epoca. (Tice, D.M. & Baumeister, R.F. 1993),
La rabbia non è né legittima né illegittima, né significativa, né inutile, ma come tutte le nostre emozioni semplicemente esiste; è la punta emergente di un iceberg che cela sotto di sé emozioni più profonde che l’hanno generata (paura, risentimento, frustrazione…). E’ qualcosa che sentiamo interiormente; esiste per un motivo ben preciso e merita sempre rispetto e attenzione da parte nostra.
Come afferma D’Ansembourg: “…noi tutti potremmo vivere meglio, in pace tra di noi e con rispetto per la vita, se esprimessimo in modo più chiaro, frequente e pacato, i motivi che ci fanno arrabbiare, in modo consapevole e non violento, piuttosto che tenerli chiusi dentro di noi e trasformarli in polvere da sparo pronta ad esplodere”.
Bisogna capire, perciò, per prima cosa perché siamo arrabbiati. Perché un automobile che ci impedisce di uscire dal parcheggio ci fa diventare folli di rabbia. Certamente è una situazione che infastidisce ma, a meno che non stiamo vivendo una situazione di emergenza, non costituisce certo una minaccia alla nostra sopravvivenza. Ad ogni persona possono venire in mente episodi in cui ci si è sentiti “arrabbiatissimi” senza che ci fosse nessuna minaccia effettiva (qualche minuto in ritardo, un saluto negato, etc..)In realtà spesso la rabbia viene scatenata dalle nostre interpretazioni delle azioni dell’altro, dai significati simbolici che vi attribuiamo. (Rosenberg M. 2006).
Ad esempio posso cominciare a pensare che il proprietario dell’auto non h alcun rispetto per me, è un prepotente etc..Questa catena di pensieri, che spesso si susseguono in modo automatico e inconsapevole, non fa altro che aumentare la rabbia, per cui quando finalmente arriva il proprietario dell’automobile si è pronti alla colluttazione con lui, con tutte le conseguenze negative del caso. Perciò quando cominciamo a sentirci a collera, chiediamoci:
Per quale ragione provo rabbia? Qual è e di chi è il problema? Quale bisogno sento insoddisfatto? Quale diritto violato? Qual è l’immagine o il giudizio - su noi o sull’altro - che condiziona i miei pensieri e mi fa arrabbiare? Se mi sto arrabbiando con una persona importante per me, è possibile che mi dia una certa soddisfazione trovare qualche motivo per attaccarla? (forse mi da un certo piacere metterla a disagio, ferirla o farla sentire in colpa?)
Una volta che ci siamo posti queste domande, e abbiamo cercato di darvi una risposta, possiamo effettivamente decidere se il caso di manifestare o meno la nostra rabbia, e soprattutto in che modo manifestarla. Nel caso avessimo deciso che è il caso di manifestare la nostra rabbia e abbiamo chiaro in mente come farlo, è importante valutare i costi e i benefici, ( a breve e a lungo termine) di questa nostra manifestazione. Quindi chiediamoci ancora: Che cosa guadagnerò comportandomi in questo modo? Che cosa potrò perdere? Esistono dei mezzi migliori per ottenere ciò che desidero?
Spesso dopo esserci posti tutte queste domande la rabbia sarà svanita da sola e noi avremo trovato altre soluzioni per far valere le nostre ragioni, altre volte invece rimarremo convinti della giustezza dei nostri sentimenti e riusciremo ad esprimere la nostra rabbia nella maniera più adeguata ed efficace.
Cosa fare invece quando la rabbia da gestire non è la nostra, ma quella di chi ci sta di fronte?Anche in questo caso possiamo decidere di fare diverse cose tenendo conto dei costi e dei benefici a breve e a lungo termine. Alcuni dei metodi che possono essere utilizzati per disinnescare la rabbia dell’altro sono (Zillmann,1993):
- Chiarire il problema. Spesso è istintivo reagire ad un atteggiamento rabbioso con il contrattacco, ma è poco probabile che ciò abbia una qualche utilità. Se riusciamo a mantenere la calma e capire quali possono essere le cause della rabbia dell’altro, saremo senz’altro su una buona strada.
- Calmare l’altro. Si può ridurre la rabbia dell’altro insistendo sul fatto che essa ci impedisce di vedere il problema e di aiutarlo a risolverlo.
- Concentrarsi sulla soluzione del problema. Mettiamo immediatamente a fuoco il problema in atto.
- Distrarre l’attenzione. Molte persone al culmine di un eccesso d’ira si possono calmare se spostano l’attenzione altrove. Ad esempio si può cambiare argomento, ironizzare etc..
- Programmare sedute di sfogo. Questa tecnica è utile per persone che si trovano a trascorrere molto tempo insieme e che non riescono comunque a parlare senza arrabbiarsi. Si tratta di programmare delle sedute in cui ognuno dei due si senta libero di esprimere la propria ostilità. Ecco alcuni passi pratici da compiere nelle sedute di sfogo:
- 1. stabilire espressamente il momento e il luogo in cui potersi esprimere, facendo in modo che nessuno possa ascoltare casualmente ciò che diciamo;
- 2. stabilire dei limiti di tempo per ogni seduta. La durata ottimale dovrebbe essere tra i quindici e i venti minuti.;
- 3. non interrompere la persona che parla;
- 4. prendere la parola a turno ma decidere in precedenza la durata degli interventi (non più di 4 o 5 minuti);
- 5. prevedere delle pause, da effettuare su richiesta del partner che ne sente il bisogno.
- Allontanarsi. Nel caso ci rendessimo conto di non riuscire ad arginare la rabbia dell’altro e di aver motivo di temere per la nostra incolumità, non esitiamo ad allontanarci.
Quella della gestione della rabbia è un problema fondamentale della nostra società. A fronte di minacce che sono il più delle volte “simboliche”, nel nostro organismo avvengono dei cambiamenti (aumento della tensione muscolare, della pressione arteriosa, del battito cardiaco) che ci predispongono ad una lotta di tipo fisico. La maggior parte delle volte, il tentativo costante di “reprimere” queste sensazioni conduce a malattie psicosomatiche; altre volte l’incapacità di auto-controllarsi porta ad esiti drammatici.
Come tutte le emozioni, la rabbia non è mai giusta, o sbagliata, semplicemente esiste e ci chiede di prenderne atto, comprenderla e gestirla al meglio. Possiamo imparare a vivere la rabbia in maniera chiara, salda e non-violenta e riuscire a renderla così manifesta. Questo richiede un lavoro su se stessi, per conoscere quello che proviamo, per conoscere la verità di ciò che accade in noi, e allo stesso tempo, imparare modalità non-violente e collaborative per esprimere le proprie emozioni piuttosto che accontentarsi di “dirne o non dirne quattro all’altro”.
Bibliografia
- Averill, J. R., (1982), Anger and aggression: An essay on emotion., Springer-Verlag, New York.
- Berkowitz L., (1993), Aggression: Its Causes, Consequences, and Control, McGraw Hill, New York.
- Davey L., Day A., & Kevin Howells K., (2004), Anger, over-control and serious violent offending, Elsevier
- D’Ansembourg T. (2007), Smettila di essere gentile. Se non sei autentico, Edizioni Paoline
- Ellis, A. (1977) , Anger: How to Live With and Without It. New York: Citadel Press.
- Galimberti U.(2003), Quel potere che scatena l’aggressività, tratto da “La Repubblica” del 23 agosto
- Lerner H.,(2002), La danza della rabbia, Tea, Milano.
- Ogle, R., Maier-Katkin, D., & Bernard, T. (1995), A theory of homicidal behavior among women. Criminology, 33(2), 173-193.
- Rosenberg M. (2006), The surprising purpose of anger. Beyond Anger Management: Finding the Gift (trad. Italiana), ed. Esserci, Reggio Emilia
- Tice, D.M. & Baumeister, R.F. (1993), Controlling anger: Self-induced emotion changes, in Daniel Wegner e James Pennebaker (eds) Handbook of Mental Control. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall.
- Zillmann, D. (1993), Mental control of angry aggression. In Daniel Wegner e James Pennebaker (eds) Handbook of Mental Control, Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall
- Van Coillie H., I. Van Mechelen I., & Ceulemans E. (2006), Multidimensional individual differences in anger-related behaviors, Personality and Individual Differences 41(1), pp.345-352
Articolo a cura della Dottoressa Dottoressa Maria Concetta Cirrincione