La connessione "cerebrale" tra paziente e terapeuta
Intrecciando i risultati delle neuroscienze con la teoria dell'attaccamento si è osservato che più che i meccanismi cognitivi di interpretazione e di intuizione, sono i processi emotivi e relazionali tra il paziente e il terapeuta ad essere al centro di tale cambiamento.
La terapia negli ultimi decenni ha visto un passaggio da teorie basate sul comportamento a quelle basate sulle cognizioni, fino a quelle attuali in cui le emozioni fisiche e gli stati psicobiologici sono divenute dominanti.
Con i progressi nel contesto dell'imaging cerebrale, le neuroscienze ci hanno fornito una nuova lente di indagine su aspetti quali gli stati affettivi, il trauma, i trigger, lo stress, le emozioni e così via.
Intrecciando i risultati neuroscientifici con la teoria dell'attaccamento, i clinici stanno iniziando a comprendere il significato dei cambiamenti emisferici del cervello destro di pazienti con traumi dello sviluppo,inteso come rotture o interruzioni con le figure di attaccamento primario, e come l'amigdala influenzi fortemente altre funzioni del cervello.
L'amigdala sembrerebbe infatti essere coinvolta nella regolazione dello stress, l'intersoggettività, l'umorismo, l'empatia, la compassione, la moralità, la creatività, ossia tutte quelle funzioni “alte” del cervello.
Ciò che questo va a significare per i terapeuti è che il cambiamento sembrerebbe avvenire nell'attività del cervello destro, rispetto a quella sinistra, ossia quella logica e verbale.
Da ciò ne scaturisce una riflessione importante, poiché più che i meccanismi cognitivi di interpretazione e di intuizione, sono i processi emotivi e relazionali tra il paziente e il terapeuta ad essere al centro di tale cambiamento.
Di conseguenze, i clinici devono mostrare sempre più attenzione agli aspetti relazionali nel “hic et nunc” con i loro pazienti per quanto possibile.

Su un piano fondamentale, questo equivale a prestare attenzione a come il cliente sta vivendo la relazione e notando eventuali elementi transferali che potrebbero arrivare.
Ma ad un livello più profondo, i terapeuti devono imparare a verbalizzare quando sono influenzati affettivamente (cervello destro) dai loro pazienti.
Se i clienti li fanno sentire tristi, irritati, compassionevoli, annoiati, riluttanti o addirittura intimiditi, bisognerebbe far conoscere questi sentimenti in modo da non perdere l'opportunità di affrontare una dinamica relazionale più profonda che potrebbe, se trascurata, divenire un problema, nel lungo periodo, verso quel paziente.
L'emisfero destro del terapeuta permette a lui o lei di conoscere il paziente dall'interno verso l'esterno; per fare questo il clinico deve accedere alle proprie risposte intuitive, cioè basate sul corpo, rispetto alle comunicazioni del paziente.
Il terapeuta dovrebbe essere quindi sensibile non solo alla comunicazione non verbale del cliente, come il tono e il volume della voce, il contatto visivo, il ritmo del linguaggio, della postura, delle espressioni facciali e così via, ma anche ai propri suggerimenti non verbali elicitati dalla relazione terapeutica stessa.
In molti modi, questa sensibilità è simile allo strumento musicale che deve essere attentamente preparato, mantenuto, sintonizzato e protetto.

La capacità del clinico per comunicare intersoggettivamente con il paziente dipende dal suo essere aperto agli aspetti intuitivi di ciò che sta accadendo nella “parte posteriore” delle parole del paziente e, spesso, oltre la consapevolezza cosciente.
Secondo il Dottor Louise, psicologo di Seattle, questo genera uno spostamento dell'attenzione che consente di agire contemporaneamente sui sentimenti propri che dei pazienti.
La visione maggiormente condivisa nelle diverse scuole di psicoterapia è quella di vedere il cliente come un aspetto unidimensionale della terapia, ma è anche importante a volte sganciarsi dal “dogma”, iniziando a inquadrare il setting come un ambiente in cui si sviluppa una danza relazione basata anche sui sentimenti del terapeuta.
L'intervento intersoggettivo del terapeuta non è definito da quello che questo fa o dice al paziente (cervello sinistro), ma piuttosto come “essere” con il paziente, soprattutto durante momenti e racconti affettivi stressanti (cervello destro).
L'intento non è quindi quello di trovare una tecnica o una strategia mirata alla risoluzione immediata del problema, ma quanto più allinearsi con il “cervello destro” del paziente.
In sostanza, nel tentativo di ricercare e trovare la giusta connessione cerebrale, ci si potrebbe imbattere in un potenziale di cambiamento che consentirebbe di esplorare tutte le difficoltà che derivano da quella connessione.
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)