La dissociazione dell’identità al cinema: “Split”
"Non ho mai visto un caso del genere. 23 personalità abitano nel corpo di Kevin!". La mente sceglie di nascondere il dolore irrisolto, determinando lo strutturarsi di diversi stati di personalità.
Il film “Split”, del regista Manoj Nelliyattu Shyamalan, attualmente proiettato nelle sale cinematografiche, è un thriller coinvolgente in cui il rapimento di tre ragazze adolescenti offre un ritratto superbamente agito e plausibilmente complesso di un “cattivo” affetto da Disturbo dissociativo dell’identità.
Il termine Split, fa riferimento al meccanismo di difesa caratteristico di questa personalità, e cioè la scissione.
Per chiarire, il concetto di personalità scissa fa riferimento ad un processo di fratturazione della coscienza, in cui l’identità del soggetto è caratterizzata da un senso di discontinuità del Sé, attraverso il quale più identità possono stabilirsi contemporaneamente ed emergere in determinate situazioni o circostanze della vita, ognuna delle quali presenta caratteristiche proprie.
Il massiccio ricorso alla scissione nel contesto della personalità, è probabilmente collegato alla presenza di un trauma emotivo nell’infanzia, il quale, essendo tremendamente massiccio da sostenere, attiva nel soggetto un meccanismo in cui le memorie vengono compartimentalizzate e dissociate dallo stato di coscienza, con l’obiettivo di sopravvivere al dolore esperito.
La mente sceglie di nascondere tale dolore irrisolto, determinando lo strutturarsi di diversi stati di personalità.
Da ciò ne scaturisce che tali scelte subconsce siano gravemente disfunzionali, e l’obiettivo terapeutico finale è quello di promuovere l’integrazione, al fine di recuperare un singolo e coerente senso di identità.
Ad esempio, senza una continuità nel senso di sé, non si è in grado di assumersi la responsabilità quando si agisce in maniera scorretta, perché mancano le funzioni emotive e relazionali di base atte a gestire determinate situazioni.
Tutto questo è reso ancora più difficile se si è costruito un mondo interno che porta il soggetto a dire “non sono stato io”, soprattutto per la presenza della scissione della personalità.
In un certo senso, tutti noi adottiamo modalità di coping in risposta alle emozioni, ricordi e azioni indesiderate, così come contenuti di vita angosciante.
Tutte le nostre personalità però fluttuano su uno spettro di coscienza dell’identità, e sembra teoricamente ragionevole suggerire che la doppia personalità si trova invece all’estremo opposto del continuum.
In questo film, il protagonista con disturbo dissociativo di identità soccombe anche per l’impulso buio e disturbato di rapire e potenzialmente uccidere.
Nonostante non sia ancora empiricamente supportato e si sappia poco del Disturbo dissociativo di identità, non si può asserire che soggetti affetti da tale psicopatologia agiscano aprioristicamente in senso rabbioso e violento.
Attraverso un’analisi della letteratura, emerge infatti che la volontà di rapire e uccidere richiede una combinazione specifica e unica di fattori di personalità associati con tre distinte diagnosi psichiatriche: il disturbo borderline di personalità, il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale di personalità.
Il personaggio principale del film, nonostante la diagnosi chiara, presentava comunque alcune sfumature dei suddetti disturbi.
Ciò che viene poi rimarcato nel film è l’importanza di conoscere se stessi. È meglio affrontare apertamente e risolvere i conflitti e i dilemmi interni, anziché procrastinarli e creare compartimenti stagni.
Mentre il disturbo dissociativo dell’identità è un esempio raro ed estremo, tutti noi lottiamo con l’istinto di ritirarci dal “campo di battaglia”, piuttosto che affrontare a testa alta il disagio psichico.
Tale successo è subordinato, tra l’altro, dalla presenza di un’identità chiara e coesa. Forse questo è il motivo, per cui tutte le terapie, a prescindere dai problemi da trattare, mirano alla chiarificazione degli obiettivi e dei valori.
È importante quindi sapere ciò che si vuole, e come si vuole arrivare, se si auspica ad una versione più sana e felice di sé stessi.
L’aspetto iniziale e basilare di ogni trattamento terapeutico è infatti quello di aiutare il cliente a chiarire gli obiettivi ed i valori, per poi elaborare strategie più efficaci per raggiungere i fini desiderati.
Tratto da PsychologyToday
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)