La mente razzista
Cosa intendiamo esattamente quando diciamo che qualcuno è razzista? E quali sono le caratteristiche neurali e psicologiche di una mente razzista?
Chiamare qualcuno razzista è una seria accusa con potenti effetti psicologici. Tale etichetta dovrebbe essere usata solo quando ci sono prove convincenti per sostenerlo, poiché non esiste un modo migliore per perdere un potenziale alleato ideologico che definirlo razzista quando non lo è.
Detto questo, è altrettanto dannoso per la società pretendere che il razzismo non esiste e che non sia un problema enorme.
Ma cosa intendiamo esattamente quando diciamo che qualcuno è razzista? Una domanda ancora migliore: quali sono le caratteristiche neurali e psicologiche di una mente razzista?
Analizzando i percorsi cerebrali che sono alla base del pensiero razzista e del comportamento, si può meglio comprendere come si crea questo pregiudizio cattivo e come, potenzialmente, riuscire a mitigarlo.
La neuroscienza del pregiudizio razziale
Prima di tutto, come facciamo a sapere che esistono effettivamente pregiudizi razziali?
Mentre alcuni possono affermare di non avere pregiudizi, un esperimento psicologico intelligente fornisce prove obiettive a sostegno dell'idea che la stragrande maggioranza di noi lo utilizza.
Nel compito del bias implicito, ai partecipanti vengono mostrate delle parole sullo schermo di un computer, come “felice” e “paura”, che devono essere categorizzate come positive o negative.
Ciò che è stato dimostrato in modo coerente è che se il volto di un nero viene rapidamente mostrato prima delle parole, gli individui saranno più veloci nel classificare correttamente le parole negative, mentre le stesse persone saranno più veloci nel classificare correttamente le parole positive quando precedute da volti di persone bianche.


Questi risultati preoccupanti suggeriscono che oltre il 75% dei bianchi e degli asiatici ha un implicito pregiudizio razziale, che influisce sul modo in cui elaborano le informazioni e percepiscono il mondo sociale che li circonda.
Tuttavia, questo pregiudizio è subconscio e implicito. Che porti o meno ad atteggiamenti e comportamenti apertamente razzisti dipende da un'interazione tra le diverse aree del cervello, in particolare quelle che creano sentimenti di paura, e quelle che ci aiutano a regolare e reprimere gli istinti più primitivi.
Pattern neurali sottostanti il razzismo
Studi di imaging cerebrale hanno dimostrato che le persone che mostrano un pregiudizio implicito hanno una risposta elettrica cerebrale più forte alla presentazione di volti neri o di altra razza in un'area del cervello conosciuta come l'amigdala - una struttura responsabile nell'elaborazione di stimoli emotivi e di uno stato mentale impaurito o ansioso.
Una risposta esagerata dell'amigdala fa parte di ciò che crea l'improvvisa sensazione viscerale o “istintiva” di essere spaventati.
E quella sensazione di paura ha ulteriori effetti psicologici che promuovono il pregiudizio.
È risaputo che quando si sente minacciato il benessere, le persone tendono a diventare più 'tribali' nel loro comportamento, e inoltre rafforzano le loro visioni del mondo culturale o nazionale, dal momento che sono quelle visioni del mondo che le fanno sentire al sicuro.
In sostanza, il nazionalismo ed il pregiudizio sono risposte istintive all'ansia.
Fortunatamente, questa non è l'intera storia della neuroscienza. Nelle persone con 'cervello funzionante' e in buona salute, la risposta rapida dell'amigdala attiva una regione del cervello nota come corteccia prefrontale, che è più lenta e svolge un ruolo regolatore.
Quando il sistema di paura viene attivato, le aree prefrontali lavorano per valutare razionalmente la situazione e placare il sistema automatico fastidioso.
Grazie a regioni specifiche come la corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia cingolata anteriore, il cervello esercita il controllo cognitivo, sopprimendo giudizi e comportamenti inappropriati o pregiudizievoli.
I problema è che non tutti hanno una corteccia prefrontale funzionante e queste persone sono quelle i cui pregiudizi le controllano.
Non riescono a giustificare quei tremiti impetuosi perchè mancano dei meccanismi cognitivi che normalmente permettono alle persone di farlo.
È interessante notare che gli studi di imaging cerebrale hanno trovato collegamenti tra compromissione della funzione del lobo prefrontale e fondamentalismo religioso.
Sebbene la correlazione non implichi sempre la causalità, una connessione statistica tra i due suggerirebbe che l'estremismo religioso e l'intolleranza per gli altri dissimili condividono comuni disfunzioni del cervello.
Altri studi hanno dimostrato che coloro che soffrono di dipendenza da droghe come alcool o anfetamine, hanno anche circuiti prefrontali poveri, il che significa che hanno maggiori difficoltà a tenere sotto controllo i loro pregiudizi e gli aspetti istintuali più primitivi come l'aggressività.
In generale, coloro che hanno difficoltà ad autoregolare le proprie emozioni e a controllare le proprie paure sono quelli più propensi a sposare opinioni nazionaliste e razziste.
Quindi, la domanda che dovremmo porre è: ora che comprendiamo alcuni aspetti alla base del razzismo, cosa possiamo fare al riguardo?
Fortunatamente, una caratteristica prominente e affascinante del cervello è la sua plasticità, o la possibilità di essere “resettato” in risposta alle nuove informazioni in arrivo dall'ambiente e dalle nuove esperienze.
Attraverso l'esposizione a nuovi stimoli, si possono formare nuove connessioni sinaptiche, creando percorsi neurali che possono promuovere una ristrutturazione di vecchi e rigidi sistemi di credenze.
Inoltre, esercizi cognitivi come la respirazione focalizzata e la meditazione possono allenare la corteccia prefrontale per attenuare un'amigdala iperattiva e controllare quei 'cattivi istinti'.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro