La solitudine e l’isolamento possono far sviluppare problemi cardiaci o ictus.
La ricerca lo conferma: il rischio sarebbe del 30% maggiore.
Una nuova ricerca, pubblicata sul giornale Heart, ha trovato che la solitudine e l’isolamento sociale sono collegati a circa il 30% di rischio in più di avere un ictus o di sviluppare un disturbo cardiaco – le due principali cause di malattia e morte negli Stati ad alto reddito.
La solitudine, d’altronde, è stata già collegata ad un sistema immunitario compromesso, alla pressione sanguigna alta e, infine, alla morte prematura, ma non è chiaro quale impatto potrebbe avere sui disturbi cardiaci e sul rischio di ictus.
Per scoprirlo, i ricercatori hanno selezionato, dai database delle pubblicazioni effettuate fino a Maggio 2015, 23 studi, i quali coinvolgevano più di 181.000 adulti, 4628 “episodi” di disturbi cardiaci (infarti, attacchi di angina, morte) e 3002 ictus, registrati durante dei periodi di monitoraggio, che andavano da tre a 21 anni.
L’analisi dei dati messi insieme mostrava che la solitudine e l’isolamento sociale erano associati ad un rischio del 29% maggiore di avere un infarto o un’angina e del 32% di avere un ictus, al pari di altri fattori di rischio psicosociale riconosciuti, come l’ansia e lo stress a lavoro.
Però, come fanno notare gli studiosi, poiché questo è uno studio d’osservazione, non si può arrivare a nessuna conclusione definitiva. In più, i ricercatori hanno puntualizzato che non era stato possibile escludere il potenziale impatto di altri fattori non valutati e un’inversione di causalità (cioè tali persone erano meno sociali perché avevano un disturbo di questo tipo).
Tuttavia, hanno precisato che i risultati da loro ottenuti confermavano le preoccupazioni sull’importanza dei contatti sociali per la salute ed il benessere.
“Il nostro lavoro suggerisce che occuparsi della solitudine e dell’isolamento sociale può avere un importante ruolo nella prevenzione di due importanti cause di morbosità nei Paesi ad alto reddito”, hanno scritto.
In un articolo collegato, anche i Dr Julianne Holt-Lunstad e Timothy Smith della Brigham Young University, Utah, USA, sono arrivati alle stesse conclusioni dei loro colleghi, puntualizzando che i fattori sociali dovrebbero essere inclusi nella formazione medica, nella valutazione del rischio individuale, nelle linee guida e nelle politiche applicate alla popolazione e nella distribuzione dei servizi per la salute.
Ma una delle più grandi sfide, secondi gli studiosi, sarà come progettare interventi efficaci per incentivare le connessioni sociali, tenendo conto della tecnologia. “Con dei cambiamenti così rapidi nel modo in cui le persone interagiscono a livello sociale, c’è bisogno di effettuare delle ricerche a livello empirico per occuparsi di diverse questioni importanti. Interagire socialmente attraverso la tecnologia riduce o sostituisce l’interazione sociale e/o le altre competenze sociali?”, si sono chiesti.
“Come hanno fatto i cardiologi e gli operatori sanitari riguardo altri fattori di rischio importanti per le malattie cardiovascolari, cioè il fumo e l’alimentazione ricca di grassi saturi, bisogna porre una particolare attenzione e stilare dei programmi ben definiti sulle connessioni sociali”, hanno concluso.
Fonte: PsyPost.org
(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)