Mass media, stigma e malattia mentale
Nel panorama mediatico attuale, la malattia mentale viene sempre più ricondotta a due uniche categorie mentali quali l'ansia e la depressione! Questo avviene come causa di una disinformazione? O per la presenza di un pesante stigma rispetto ad altre condizioni?
Recentemente, nel mondo mediatico, si sta iniziando sempre più a parlare di malattia mentale; questo passaggio, che probabilmente riflette quello che è un mutamento culturale in atto, può essere considerato come un qualcosa di positivo.
Anche nel panorama Hollywoodiano, le star americane, che fino a poco tempo fa, nascondevano i loro problemi di salute mentale per paura di non essere più “ricercate”, ora invece iniziano a discutere apertamente della loro ansia o depressione: prendiamo ad esempio Catherine Zeta-Jones, Carrie Fisher e Demi Lovato, giusto per citarne alcuni.
In questo nuovo scenario, ciò che risalta è l'aver racchiuso, probabilmente come causa di una disinformazione e presenza di un pesante stigma, la malattia mentale a due uniche categorie, quali quella dell'ansia e della depressione.
Tutte quelle sfumature meno conosciute e anche più spaventose della malattia mentale vengono spesso nascoste, o sono volontariamente misconosciute.
Se prendiamo ad esempio la psicosi, questa è una problematica che viene ancora ignorata, portando spesso coloro che la vivono a rimanere nascosti e in silenzio; questo rappresenta un problema, in quanto, come sostenuto anche dai ricercatori che studiano l'impatto dello stigma sulla salute mentale, impedirebbe alle persone affette da psicosi di cercare ed ottenere il trattamento di cui hanno disperatamente bisogno.
La psicosi, in termini generali, è una condizione che provoca allucinazioni, deliri e disturbi del pensiero; questa può includere allucinazioni uditive o visive, deliri di grandezza o di persecuzione, talvolta catatonia ossia un'improvvisa perdita dell'abilità motoria.
Sicuramente, se si parla meno di psicosi, ma più di depressione è perchè, almeno in parte, la psicosi sembrerebbe meno comune.
In accordo al National Alliance on Mental Illness, più di 100.000 giovani presentano almeno un episodio psicotico durante gli ultimi dodici mesi, rispetto ai 16 milioni che presentano almeno un episodio depressivo nello stesso range temporale.


La prevalenza generale della psicosi, che può anche essere un sintomo caratterizzante un episodio depressivo maggiore, è di circa il 3% della popolazione americana (circa 9 milioni di persone), contro una condizione depressiva che colpisce circa il 7% della popolazione (circa 22 milioni).
Le evidenze empiriche suggeriscono anche che molte persone con psicosi hanno probabilmente avute esperienze interpersonali in cui, il confidare quello che era il proprio sintomo, innescava nell'altro una reazione di paura e, successivo allontanamento.
La ricerca ha inoltre suggerito che gli individui con psicosi sono giudicati più negativamente dal pubblico, sperimentando una maggiore discriminazione rispetto alle persone con altre malattie psichiatriche.
In altre parole, secondo il Dottor David Kimhy, professore presso la Columbia Medical Center University, le persone affette da psicosi costituiscono il gruppo maggiormente stigmatizzato nel panorama dei problemi di salute mentale.
Non è ovviamente difficile immaginare il perchè; per prima cosa, basta soffermarsi a riflettere sulle rappresentazioni che i media offrono della psicosi.
Come affermato dal Dottor William Carpenter, docente di psichiatria presso la University of Meryland School of Medicine, quando si parla di psicosi, si fa spesso riferimento a “sparatorie di massa, eventi bizzarri o crimini, o utilizzo di tale parola per screditare una persona o la sua idea!”.


Tutto questo fa sì che molte persone potrebbero vergognarsi a descrivere o raccontare a qualcuno le loro esperienze psicotiche, in particolare quando ci si appresta a fare un colloquio di lavoro.
Uno studio del 2006 ha infatti scoperto che la metà dei datori di lavoro americani sono “riluttanti” ad assumere persone con una storia psichiatrica passata, cifra che sale al 70% qualora queste assumano anche farmaci antipsicotici.
Le conseguenze di questa stigmatizzazione si estendono oltre l'occupazione, in quanto essendo estesa al pubblico e al sociale, diviene una “barriera pervasiva che impedisce a molti individui di ricercare un'assistenza sanitaria mentale consona alla loro condizione”.
Secondo lo psichiatra Patrick Corrigan, le persone per evitare di essere etichettate come “malate di mente”, decidono volontariamente di non cercare o partecipare alle cure; questo diminuisce l'autostima dei pazienti e impedisce loro di impegnarsi in quelle “opportunità sociali” come le relazioni o le amicizie, relegandosi così in un isolamento che tenderà a cronicizzarsi.
Sarebbe pertanto auspicabile intraprendere campagne di riduzione dello stigma, e di sensibilizzazione al disagio mentale, prescindendo dalla categoria diagnostica cui si fa riferimento.
Nel frattempo, il Dottor Kimhy suggerisce a tutti quei terapeuti che hanno avuto in trattamento individui psicotici, di raccontare le loro storie ed il percorso che li ha portati a condurre una vita più funzionale.
A corroborare il tutto, anche il paziente o utente stesso, può raccontare il proprio successo professionale e sociale, perchè solo iniziando a parlare pubblicamente della psicosi sarà possibile raggiungere quelle orecchie “sorde” che odono solo ciò che vuole sentire!
Tratto da “Science of US”
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)