Nella mente di un disoccupato
Gestione del tempo, stati d’animo e ripercussioni a livello familiare e sociale.
La disoccupazione continua ad essere uno dei temi più attuali della cronaca quotidiana. Il lavoro è considerato un elemento centrale nella vita delle persone, costituisce un valore primario e un diritto. Il lavoro è la principale fonte di reddito, esso svolge un ruolo essenziale nel determinare lo stato socioeconomico dell'individuo, che a sua volta è stato identificato come uno dei più importanti determinanti della salute e delle disuguaglianze di salute, sia perché su di esso si fondano la costruzione dell’identità, dell’autostima e sia la progettazione del futuro.
Molti studi evidenziano come la perdita e la precarietà del lavoro generino un forte disagio nell’individuo, il quale sempre più spesso cade in un circolo vizioso fatto di tentativi falliti che portano a riconfermare i pensieri disfunzionali e disadattivi.
Si vengono a costruire, sempre di più, sensazioni di inadeguatezza, perdita di fiducia in se stessi proprio perché si vive la perdita delle proprie certezze (che in questi casi un lavoro può dare) tutto questo porta ad un progressivo isolamento sociale con conseguenti tensioni nei rapporti familiari.
Uno studio sulla disoccupazione ha mostrato che la perdita del lavoro è un evento molto stressante, che può essere considerato come una forma di lutto. L'effetto negativo della disoccupazione sulla salute, in particolare sul benessere psicologico, è stato interpretato alla luce di diverse teorie, di cui la più importante è quella del "modello di deprivazione latente" di Jahoda (1982). In esso si evidenzia come il lavoro fornisca agli individui benefici sia manifesti, come il reddito, sia latenti, tra cui la strutturazione del tempo quotidiano, contatti sociali, autostima, rispetto degli altri, attività fisica e mentale, condivisione di obiettivi.
Secondo questa teoria, i disoccupati avrebbero una salute mentale peggiore perché deprivati di questi benefici connessi con l'attività lavorativa, mentre il peggioramento della salute fisica insorgerebbe in tempi più lunghi e sarebbe dovuto principalmente all'azione dell'ansia cronica sull'organismo.
Molti studi hanno preso in esame l’analisi delle relazione tra quantità di tempo libero e soddisfazione, elemento centrale del benessere soggettivo. Tra i risultati della ricerca svolta in Germania un dato rilevante è che i disoccupati spendano relativamente più tempo in attività ricreative ed esprimono meno soddisfazione per la vita rispetto ai lavoratori. Anche in Italia, tra occupati e disoccupati, si registrano tali differenze e in particolare i dati ISTAT 2013 vedono i disoccupati meno soddisfatti degli occupati.
Questo accade perché il lavoro incide sulla strutturazione del tempo e fornisce significato alla quotidianità del soggetto: la sua assenza rende destrutturate e sterili le giornate. Infatti molti autori sostengono che si può passare dal condurre una vita regolata, scandita di impegni regolari a uno stile di vita sregolato (far tardi la sera, aumento del consumo di alcolici, fumo ecc).
“La consapevolezza che il tempo libero è limitato spinge un uomo a farne un uso bene ponderato. Se invece sente che dispone di un tempo illimitato, ogni sforzo per usarlo in modo ragionevole appare superfluo.” (Jahoda, Lazarsfeld e Zeisel, 1971; tr,1998,p.111)
Cosa incide realmente nel nucleo familiare?
Lo stato di disoccupazione, come abbiamo analizzato finora, causa pensieri disfunzionali i quali fanno leva sulle preoccupazioni relative ai problemi economici, alla ridotta o mancanza di indipendenza e di controllo personale. Tutto questo se protratto nel tempo, lede l’integrità dell'immagine di sé, fino ad arrivare alla perdita della propria identità.
All’interno del nucleo familiare il soggetto può aver timore che la propria autorità venga messa in discussione, di non essere più in grado di prendersi cura dei propri cari, nascono timori anche nel rapporto con i figli in quanto si viene a instaurare la paura di perdere autorità ai loro occhi, di non essere un valido punto di riferimento.
Quindi l’individuo privato dell’identità professionale e del reddito, si sente svalutato, si sente di appartenere al gradino più basso della gerarchia sociale. Spesso è accompagnato da sentimenti di vergogna in quanto direttamente o indirettamente è costretto a subire sospetti di “oziosità” che rendono ancora più intollerabile e umiliante questa condizione.
In casi più gravi questi sentimenti possono sfociare in psicopatologie come ansia e depressione e in alcuni casi anche a comportamenti suicidari.
La personalità del disoccupato è molto complessa e per questo è utile istituire percorsi di sostegno psicologico al fine di circuire i pensieri disfunzionali che portano anche al classico circolo vizioso del “sabotaggio” cioè dopo aver inoltrato numerose richieste di lavoro si instaura l’atteggiamento tipico “ Non ha alcun senso continuare tanto mi rifiuteranno sempre, nessuno mi chiamerà mai.” Questi sono comportamenti che possono in qualche modo provocare il “fallimento” dei vari tentativi.
Spesso queste profezie si confermano, così da andare a proteggersi dalla delusione, dalla frustrazione di continui rifiuti. In questo modo si instaurano dei veri e propri circoli viziosi dai quali può diventare difficile uscire, sia a causa delle emozioni negative sperimentate, sia del fatto che quando riteniamo che qualcosa sia vero non lo mettiamo più in discussione.
Per approfondimento
- Disoccupazione e salute in Piemonte di Angelo d'Errico - ASL TO3 e Giuseppe Costa(2) Università degli Studi di Torino
- Generazioni sospese. Percorsi di ricerca sui giovani Neet. Di AA. VV., Maria Stella Agnoli. FrancoAngeli, 2015
- Un disoccupato non è solo un lavoratore alla ricerca di un impiego. A cura del Dott. Paolo Ricci
A cura della Dott.ssa Angela Chiara Leonino