Non uccidiamo il piacere
Articolo a cura del Dottor Claudio Nudi
Non bastavano l'anoressìa e la bulimìa, che già ci davano abbastanza problemi: ora esce fuori anche l'ortoressìa nervosa, cioè, detto in parole semplici, l'ossessione per l'alimentazione sana. Talmente sana che alcuni non riescono più a mangiare.
La carne no, perché potrebbe essere pazza, e poi c'è l'afta epizootica, evoca fantasie di morte e violenza o chissà cos'altro. Il pesce nemmeno, perché è pieno di mercurio, e poi ci sono i giapponesi nel Mediterraneo che ci fregano quello migliore. Frutta e verdura sono imbottite di pesticidi, i prodotti integrali ne contengono ancora di più proprio in quanto integrali, formaggio e uova non andrebbero malissimo ma fanno venire il colesterolo e via dicendo.
In America, dove tutto è subitaneo e faraonico, il fenomeno è già estremo; qui da noi, eredi di una saggezza più antica e sorniona, abituata a stare a vedere come va a finire, cresce lentamente. Ma si sa, la paura fa novanta, tra tutte le emozioni è la più contagiosa, e, dài oggi, dài domani, alla fine la vernice di civiltà va a farsi benedire ed esce fuori l'animale spaventato. Niente di peggio.
Su eventi come questi si possono fare alcune considerazioni. Anzitutto, i media in cerca di scoop e i cronisti costretti a fare loro malgrado gli informatori scientifici non rendono il più delle volte un buon servizio all'utente, giacché gli consegnano tutta l’angoscia della patologia senza l'attenuante della conoscenza del rimedio.
A questo si aggiunga, perché non dirlo, un certo tipo (ma fortunatamente solo un certo tipo) di informazione medica, certamente vera sebbene somministrata in modo talebano e vivisettorio, che non ammette repliche e non concede alternative, così lontana da quella figura benefica e di per sé taumaturgica che era il medico di famiglia, il quale, comprensivo degli umani vizi, anzitutto rassicurava e poi curava (e tra l'altro, quasi sempre coglieva nel segno).
Una visione retrò? ...è possibile. Ma fatto sta che, retrò o meno, le manifestazioni del disagio psicologico proliferano in maniera esponenziale - l'"ortoressìa nervosa", che citavo nell'incipit, ne è un esempio lampante - costringendo la medicina ufficiale a tentare di riassorbirle attraverso ulteriori farmaci, e così via all'infinito.
In questo contesto sarà dunque concesso allo psicologo, facendosi largo a fatica tra le angosce corporee dei più, dettate dall' impossibile assimilazione a modelli di perfezione assoluta, dire due parole in termini di igiene mentale, perché si sappia che nel corteggiare queste ossessioni corriamo il più grave dei rischi, e cioè quello di uccidere il piacere.
Non si tratta solo di una considerazione letteraria: il nostro corpo è organizzato in modo da provare piacere quando svolge un'attività fondamentale per la sopravvivenza, come nutrirsi o riprodursi, o anche, in grazia del livello estremamente sofisticato del suo apparato mentale, altre attività più elevate, tipicamente umane, perché in qualche modo questo rende più piena ed interessante la vita.
Sono - come Freud aveva intuito e teorizzato - il desiderio, ed il piacere che prelude al suo soddisfacimento, le forze che muovono il mondo. Perciò, quando il cibo diventa un potenziale nemico, quando un corpo un po' troppo corto o un po' troppo largo diventa un fardello insopportabile, quando fare l'amore diventa una noia o un generatore di ansia; e quando, dall'altro versante, si pretende porre rimedio al male imponendo dei comportamenti prescritti, magari ricorrendo ai vecchi metodi della paura e della colpa, allora c'è qualcosa che non va.
La paura, in particolare, é un'emozione che va gestita con estrema attenzione, perché può dare luogo a conseguenze sociali difficilmente controllabili, destinate, alla lunga, a trasformarsi in disagio psicologico che tende a cronicizzarsi. Sembra invece che un certo uso dei media non sia riuscito a far di meglio che incrementarla, e che molti di coloro che avevano il compito - socialmente irrinunciabile - di indirizzare la popolazione verso le "magnifiche sorti e progressive" non si siano per niente distaccati dal metodo più vieto ed antico, cioè, appunto, quello della soggezione.
Un sistema pericoloso, che genera sudditanza passiva per i più, e per molti altri un senso di impotenza e di rivolta rabbiosa che spingono all’opposto e non fanno presagire nulla di buono. E intanto, tra le angosce degli uni e la rabbia degli altri, il piacere, questa molla straordinaria di cui madre natura ci ha dotato per dare impulso alla vita, langue, e con esso decade l'attaccamento e la partecipazione alle cose: e nel tessuto delle certezze, appannaggio della civiltà del terzo millennio, già di per sé così lacerato, si aggirano i fantasmi della nevrosi (se va bene) e della depressione (se va male), ambedue argomenti con cui c'è poco da scherzare.
Siamo tutti d'accordo sulla questione dei costi sociali invocata a tutto vantaggio dell'ordinary people per indurlo a rinunciare alle fissazioni ed alle tentazioni che si è scelto in proprio (spingendolo contemporaneamente a soggiacere ad altre che altri hanno scelto per lui). Ma, a parte l'evidenza strumentale, anche qui c'è qualcosa che non torna.
Qual'è il costo sociale attuale del disagio psicologico, tra psicofarmaci e psicoterapie, assenze dal lavoro, scarsa partecipazione e pessimi rapporti umani? Immenso; e nessuno vorrà accusare lo psicologo di divulgare notizie come queste a proprio vantaggio. Ma curiosamente questi aspetti non li sottolinea nessuno - ed è lecito chiedersi come mai.
Diversi anni fa, un umorista di acuto ingegno disse che avrebbe preferito “allargare” la vita anziché allungarla. Ritengo che non avesse tutti i torti. E su questa storia del disagio psicologico penso che ci si debba intendere una volta per tutte, perché si tratta di una piccola grande tragedia in progress che non riguarda solo chi ci passa dentro, anche se può capirla veramente solo chi l’ha sperimentata. Un esempio tra i tanti? Moltissimi anni fa un mio paziente, caduto dalla moto e fratturatosi quattro costole, mi disse in seduta: "Mi creda, dottore, mi fa un male cane. Ma ci metterei la firma per avere questi dolori tutta la vita, piuttosto che non le mie angosce. La prego, mi aiuti."
E lo psicologo, che queste cose le conosce benissimo, tace ed ammicca, aspettando pazientemente, in silenzio, l'occasione giusta per aiutare l' altro a capire qualcosa di sé.
Dottor Claudio Nudi - Psicoterapeuta, psicoanalista - Roma