Perché le donne maltrattate non sempre lasciano i loro aggressori?
Un approfondimento degli aspetti della cosiddetta Battered Women’s Syndrome.
Sappiamo che le vittime di violenza domestica sono, nella maggior parte dei casi, donne.
Costoro, oltre a subire i maltrattamenti, con le relative conseguenze, spesso sono anche accusate di non riuscire ad abbandonare il proprio aggressore, dando per scontato che esse abbiano la libertà e la forza di fare una tale scelta.
Ne consegue che i membri della comunità, così come i professionisti dei servizi sociosanitari, spesso, non provino simpatia per queste persone, le quali si ritrovano a non essere tutelate nemmeno dal sistema giudiziario.
Così, costoro, da vittime incapaci di difendersi, finiscono per essere viste come concause della loro stessa situazione.
Visto che questa tendenza a colpevolizzare la vittima sembra ancora frequente, si ritiene opportuno approfondire i meccanismi della Battered Women’s Syndrome (BWS) ed alcune delle ragioni, per le quali le donne in questa condizione non riescano a lasciare i propri aggressori.
1. Credono di non avere scampo.
Una donna picchiata sviluppa alcune caratteristiche, a seguito degli abusi prolungati, quali paura, alta suggestionabilità, isolamento, senso di colpa e dipendenza emotiva.
Tutto ciò la porta a convincersi che non potrà mai sfuggire al suo aggressore.
Non solo: queste persone giungono ad un tale stato di degrado e disagio psicologico, da credere di non essere in grado di aiutare se stesse, né tantomeno di potersi aspettare l’aiuto da parte di altri.
Costoro sono, quindi, fermamente convinte di non poter sfuggire al controllo completo del loro compagno, il quale viene visto come inattaccabile persino dalle forze dell’ordine e dalle altre fonti d’aiuto.
È chiaro che, in una condizione del genere, diviene impensabile trovare una qualsiasi via di fuga.
2. Sono ostacolate dall’amore.
La Battered Women’s Syndrome si sviluppa in un ciclo di tre fasi: la prima comprende una tensione crescente ed abusi minori; nella seconda, vengono perpetrate le percosse; nella terza, la vittima perdona l’aggressore perché egli cessa il comportamento violento e mostra affetto, promettendo, spesso, che la violenza non si ripeterà.
Ma a questo punto il ciclo ricomincia.
È durante la terza fase che molte donne sviluppano la speranza che tutta questa dolcezza duri e, di conseguenza, hanno difficoltà a lasciare il loro compagno.
3. Hanno paura di ritorsioni.
Spesso, però, le vittime hanno troppo paura di lasciare i loro aggressori perché sanno che costoro continueranno a cercarle e, una volta trovate, continueranno a picchiarle, anche in modo più violento.
Questo è vero soprattutto quando le donne hanno il coraggio di interpellare e far intervenire le forze dell’ordine: è allora che il compagno percepisce queste azioni come un tradimento e scatena tutta la sua violenza contro di loro, fino alle conseguenze più estreme.
Non meraviglia, allora, la loro titubanza nel denunciare e la forte tendenza a ritrattare le accuse in quelle poche occasioni in cui riescono a denunciare le violenze.
4. Percepiscono una certa riluttanza delle forze dell’ordine ad intervenire.
Le donne maltrattate esitano a sporgere denuncia non solo per paura della reazione del marito, ma anche a causa dell’apatia storica, da parte degli organi legislativi, nei confronti delle “questioni private”.
Solo di recente, infatti, i sistemi giudiziari di tutto il mondo occidentale stanno introducendo delle leggi contro la violenza domestica e solo in questi ultimi anni la società ed il settore sociosanitario si stanno prodigando a favore della prevenzione e dell’intervento in questo campo.
5. Sono soggette ad impotenza appresa.
Il principio di “impotenza appresa” è stato sviluppato quando lo psicologo Martin Seligman ha scoperto che i cani, colpiti con scosse elettriche, che non potevano evitare, non sono riusciti a reagire in situazioni successive, in cui avrebbero potuto farlo.
Le donne maltrattate sperimentano la stessa condizione: essere sottoposte ripetutamente alle percosse indebolisce la loro motivazione a rispondere.
Non lasciare i compagni violenti non è, quindi, una decisione razionale, per cui biasimarle.
6. Fattori aggiuntivi.
Altri motivi, per cui le donne maltrattate non riescono a lasciare i loro aggressori, includono essere etichettate come vittime di abusi, una bassa autostima causata dalle continue violenze e l’isolamento forzato, i quali impediscono di comunicare all’esterno la loro situazione di pericolo.
Inoltre, molte di loro rimangono negli ambienti abusivi per mantenere l’impegno nei loro rapporti e perché credono che mantenere unita la famiglia sia la cosa migliore per i figli.
Misure necessarie per il progresso.
Grazie ad una migliore comprensione del perché le donne non sfuggono ai loro aggressori, si auspica di poter smettere di incolpare la vittima.
Ancora oggi, infatti, costoro possono incontrare medici, che prescrivono calmanti ad hoc, oppure ministri, che raccomandano di avere comportamenti più accomodanti, o psicoterapeuti, che consigliano una migliore comunicazione con il compagno violento.
Questo è semplicemente inaccettabile.
In primo luogo, la violenza domestica deve essere trattata più seriamente.
Quando gli amici, gli enti e le forze dell’ordine vengono a conoscenza di un abuso domestico, dovrebbero sentirsi in dovere di contribuire ad allontanare la vittima da una situazione che crede inevitabile.
In secondo luogo, è una questione di empatia: prima di incolpare le vittime degli abusi domestici che subiscono, bisognerebbe camminare per un miglio nelle loro scarpe.
Fonte: Huffington Post
(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)