Psicoterapia: un problema di immagine
Diminuiscono i pazienti che usufruiscono della psicoterapia, mentre aumenta il numero delle prescrizioni farmacologiche.
La psicoterapia è in declino. Negli Stati Uniti, dal 1998 al 2007, il numero di pazienti all'interno delle strutture sanitarie ambulatoriali che usufruiscono della psicoterapia è diminuito del 34%, mentre il numero di prescrizioni farmacologiche è aumentato del 23%.
Questo non avviene necessariamente per una mancanza di interesse; una recente analisi su 33 studi ha rilevato che i pazienti esprimono una preferenza di tre volte maggiore per la psicoterapia rispetto all'assunzione farmacologica.
Hanno inoltre sottolineato come, per le condizioni più comuni, quali ansia e depressione, le psicoterapie supportate empiricamente, cioè quelle di cui si è in grado di dimostrare l'affidabilità e l'efficacia all'interno di studi randomizzati controllati, sono infatti i trattamenti di prima scelta.
I farmaci, a causa dei loro potenziali effetti collaterali, dovrebbero, nella maggior parte dei casi, essere considerati solo quando la terapia non funziona bene o se il paziente non è disposto ad intraprendere un percorso psicologico e/o psicoterapeutico.
Quindi, cosa spiega il divario tra ciò che le persone preferiscono e da cui traggono beneficio, e quello che ottengono?
La risposta è che la psicoterapia ha un problema di immagine. I medici di base, i mass media, i politici e anche molti terapeuti, sono in gran parte ignari dell'elevata ricerca della psicoterapia da parte di un utente.

La situazione è inoltre esacerbata dal sottolineare continuamente che il farmaco, essendo strutturato per modificare o influenzare la base biologica disfunzionale, sia da preferire alla psicoterapia.
Ovviamente questo è un discorso che giova, quasi esclusivamente, alle tasche delle case farmaceutiche, che continuano a creare sempre più nuovi farmaci con l'obiettivo di rinforzare quella che è già una lobby dominante.
In virtù di questo, nonché del sistema sanitario stesso, la psicoterapia deve rivedere la propria immagine, aggrappandosi in modo più “aggressivo”, formalizzando e promuovendo tutti quei metodi empiricamente supportati.
Il Dottor Ivan W. Miller ha recentemente analizzato la letteratura empirica sulla psicoterapia e pubblicato un articolo all'interno della rivista Clinical Psychology Review.
È chiaro che una varietà di terapie hanno una forte evidenza e supporto empirico, tra cui quella cognitivo-comportamentale, la mindfulness, la terapia interpersonale, quella familiare e quella psicodinamica breve (ad esempio 20 sessioni).
In breve, queste terapie sono efficaci per la riduzione di sintomi appartenenti allo spettro clinico dell'ansia e della depressione.
Possono anche produrre risultati migliori a lungo termine sia per i pazienti che per i familiari, in quanto spesso migliorano il funzionamento nei contesti sociali e di lavoro, e impediscono la recidiva rispetto al farmaco.}
Data la natura cronica di molte condizioni psichiatriche, i benefici più duraturi della psicoterapia potrebbero contribuire a ridurre i costi di assistenza sanitaria ed il tasso di disabilità, che sono notevolmente influenzati dall'eccessivo aumento dei farmaci psicotropi prescritti negli ultimi decenni.
E' bene specificare che la psicoterapia, a differenza della lobby dominante, affronta una battaglia in salita per ottenere l'attenzione del pubblico; non esiste una “Big Therapy” per contrastare “Big Pharma”, con i suoi miliardi di dollari spesi in attività di pubblicità, ricerca e sviluppo.
La maggior parte delle psicoterapia provengono da contesti “umili”, nati da un'iniziativa all'interno di un ufficio di consulenza o da una ricerca che è stata sottoposta a test silenziosi o raffinata in studi molto più grandi.
Il fatto che i farmaci dispongano di una base di prove più chiara e meglio commercializzata, porta ad una copertura assicurativa più affidabile rispetto alla psicoterapia.
Questo ovviamente si traduce in maggiori prescrizioni e meno riferimenti alla psicoterapia.
Ma i problemi della psicoterapia arrivano tanto da dentro quanto da fuori. Molti terapeuti stanno contribuendo al problema senza aver riconosciuto e utilizzato psicoterapie basate sull'evidenza.
Vi è stato un disaccordo riluttante tra gli psicoterapeuti nel compiere delle scelte rispetto a quali terapie sono efficaci e che, alcune terapie, come quelle freudiane di vecchio stile, dovrebbero invece essere abbandonate.
Dal punto di vista organizzativo c'è molto da fare; gruppi come l'American Psychiatric Association, che tipicamente promuovono il farmaco come trattamento di prima scelta, hanno comunque pubblicato linee guida pratiche per più di due decenni, fornendo raccomandazioni anche per quali trattamenti utilizzare e in quali circostanze.
L'American Psychological Association, che promuove approcci psicoterapeutici, ha costituito solo di recente una commissione per iniziare a sviluppare linee guida per il trattamento.

Le organizzazioni professionali di psicoterapia devono quindi dedicare maggiori risorse per la strutturazione di campagne informative e di marketing destinate ai consumatori, ai fornitori di cure primarie e al pubblico.
Se i servizi e le spese psicoterapeutiche non sono basate sulle migliori ricerche disponibili, la professione sarà ulteriormente compromessa da un sistema sanitario che sempre più favorisce un approccio medico basato sulle prove.
Molte delle pratiche psicoterapeutiche già soddisfano tali norme; per il bene dei suoi pazienti, la professione deve quindi combattere per le parità che merita.
Tratto da “New York Times”
(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)