Quanto è semplice riconoscere una bugia?
I ricercatori hanno osservato l’arte dell’inganno durante le interviste di gruppo.
“Chi ha rotto il vaso preferito della nonna?”.
Appena si solleverà un coro di “Non lo so” e “Non sono stato io”, come determinerete il colpevole?
La saggezza popolare dice “dividere e conquistare”… Ma cosa accadrebbe se lo chiedessimo ad un gruppo di persone?
Sfortunatamente, su questa eventualità la ricerca ci dice veramente poco.
A tal proposito, la Dr. essa Zarah Vernham, dalla University of Portsmouth, ed i suoi colleghi osservarono 20 studi che esaminavano le dinamiche della menzogna nei gruppi.
La loro rassegna dei risultati è stata pubblicata su “Frontiers in Psychology”. I ricercatori scoprirono che solo in un terzo degli studi i partecipanti furono intervistati in un contesto di collettività.
“Prima di cominciare la nostra ricerca nel contesto del gruppo, fummo sorpresi dalla mancanza di studi in quest’area e dal fatto che il mentire in gruppo fosse stato un processo finora ignorato. Questo, invece, fu, per noi, oggetto di particolare interesse, a causa del numero significativo di crimini – e situazioni investigative – che coinvolgono più di un colpevole (o indagato)”, ha spiegato la Dr. essa Vernham.
Infatti, nella maggior parte degli studi analizzati, i partecipanti furono intervistati separatamente. Questo fa sorgere delle domande a riguardo, perché il modo in cui le persone rispondono in un gruppo può essere diverso da quello in cui lo fanno quando sono da sole.
E, come sottolinea la studiosa stessa, la ricerca è carente proprio in quest’area, in particolare nell’analizzare le modalità in cui si manifestano le menzogne in un contesto di gruppo e nel determinare quale sia il modo migliore per individuarle.
La Dr. essa Vernham fa partire la sua analisi dal concetto di memoria collettiva. Infatti, come ella stessa ha argomentato, anche se questa può sembrare un processo prettamente individuale, un gruppo può avere una memoria collettiva di un evento condiviso. Mentre viene raccontata la storia di questa esperienza, infatti, i membri si interromperanno l’un l’altro, chiederanno agli altri un chiarimento e si aiuteranno a vicenda a ricordare.
Questo processo, attivo e dinamico sarà, invece, assente in un gruppo che non ha realmente vissuto lo stesso fatto, ma che ha semplicemente memorizzato un copione che rendesse coerenti le singole storie raccontate dai suoi membri.
E la coerenza è fondamentale nelle indagini della polizia. Però, soprattutto negli studi di carattere scientifico, gli individui, che hanno memorizzato un unico racconto per essere preparati alle domande che saranno rivolte loro, possono avere un grado veramente alto di coerenza all’interno delle loro storie e con quelle degli altri sospettati.
È chiaro, quindi, che usare la coerenza come il marcatore principale della verità non è sempre corretto, ma essa dovrebbe essere usata in combinazione con altri fattori. Ad esempio, quei criminali, che si sono preparati un copione per affrontare le domande a cui dovranno rispondere, rendono più difficile per gli investigatori determinare se stanno mentendo o no.
Le procedure standard ed i manuali di polizia presuppongono tutti che i sospettati vengano intervistati separatamente, per determinare se stanno dicendo la verità o meno. Visto che costoro, però, stanno imparando ad aggirare le tecniche investigative, abbiamo bisogno di imparare nuove procedure.
Un’intervista collettiva potrebbe essere un metodo prezioso per rilevare quando una persona sta mentendo e dovrebbero essere condotte ricerche più approfondite a riguardo.
Fonte: PsyPost.org
(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)