Solitudine: un'epidemia crescente
La ricerca ha riportato che la solitudine può compromettere la salute aumentando i livelli di ormoni dello stress e gli stati infiammatori, che a loro volta possono aumentare il rischio di malattie cardiache, artrite, diabete di tipo 2, demenza e persino tentativi di suicidio.
Gli effetti potenzialmente dannosi della solitudine e dell'isolamento sociale sulla salute e la longevità, specialmente tra gli anziani, sono ben documentati.
Ad esempio, nel 2013 la ricerca ha riportato che la solitudine può compromettere la salute aumentando i livelli di ormoni dello stress e gli stati infiammatori, che a loro volta possono aumentare il rischio di malattie cardiache, artrite, diabete di tipo 2, demenza e persino tentativi di suicidio.
Tra le persone anziane che hanno riferito di sentirsi escluse, isolate o prive di compagnia, la capacità di svolgere attività quotidiane come fare il bagno, governare e preparare i pasti è diminuita, ed il tasso di mortalità è aumentato nel corso di un periodo di studio di sei anni rispetto a persone che non hanno segnalato nessuno di questi sentimenti.
Il Dottor Dhruv Khullar, medico e ricercatore presso la Weill Cornell Medicine di New York, ha sottolineato come il sonno interrotto, risposte immunitarie anormali e declino cognitivo si manifestano in individui socialmente isolati, definendo tale fenomeno come “un'epidemia crescente”.
Mentre la ricerca avanza su questi temi, gli scienziati stanno acquisendo una comprensione più raffinata degli effetti della solitudine e dell'isolamento sulla salute.
Stano inoltre esaminando quei fattori che potrebbero essere maggiormente influenti e quali tipi di interventi potrebbero ridurre i rischi associati.
Ci sono alcuni risultati sorprendenti. In primo luogo, sebbene il rischio sia equivalente, la solitudine e l'isolamento sociale non vanno necessariamente di pari passo, hanno sottolineato Julianne Holt-Lunstad e Timothy B.Smith, psicologi e ricercatori della Brigham Young University.

“L'isolamento sociale denota poche connessioni o interazioni sociali, mentre la solitudine implica la percezione soggettiva delle isolamento, ossia la discrepanza tra il livello desiderato ed effettivo di connessione sociale”, hanno dichiarato sulla rivista Heart.
In altre parole, le persone possono essere socialmente isolate e non sentirsi sole; preferiscono semplicemente un'esistenza più eremitica.
Allo stesso modo, le persone possono sentirsi sole anche se circondate da molte persone, specialmente se le relazioni non sono emotivamente gratificanti.
Infatti, la Dottoressa Carla Perissinotto dell'Università della California ha riferito che le persone che avvertono maggiormente la solitudine sono sposate, vivono con gli altri e non sono clinicamente depresse.
“Essere celibi è un rischio significativo”, ha affermato la Dottoressa Holt-Lunstad, “ma non tutti i matrimoni sono felici. Dobbiamo considerare la qualità delle relazioni, non semplicemente la loro esistenza o quantità”.
Come ha riferito la Dottoressa Nancy J. Donovan, psichiatra, geriatra e ricercatrice in neurologia presso il Brigham e Women's Hospital di Boston, “esiste una correlazione tra solitudine e interazione sociale, ma non in tutti. Può essere semplicistico suggerire alle persone che sono sole di provare a interagire di più con gli altri”.
Forse altrettanto sorprendente è la scoperta che gli anziani non sono necessariamente i più soli.
Sebbene la maggior parte degli studi sugli effetti della solitudine abbiano riguardato solo le persone anziane, la dottoressa Holt-Lunstad, che ha analizzato 70 studi comprendenti 3.4 milioni di persone, ha affermato che la prevalenza della solitudine è maggiore nei giovani e negli adolescenti.
Secondo Louise Hawkley, ricercatrice senior presso il National Opinion Research Center dell'Università di Chicago, “se non altro, l'intensità della solitudine diminuisce dalla giovane età adulta fino alla mezza età e non diventa più intensa fino alla vecchiaia”.
“Abbiamo riscontrato rischi più elevati per soggetti con età inferiore ai 65 anni rispetto a quelli con un'età maggiore”, ha proseguito Holt-Lunstad.
“Gli anziani non dovrebbero essere l'unico obiettivo degli effetti della solitudine e dell'isolamento sociale. Dobbiamo indagare tale aspetto in tutte le diverse fasi evolutive”.
Inoltre, ha proseguito, anche se non è certo che la solitudine o l'isolamento sociale abbia l'effetto più forte sulla salute e sulla longevità, “se riconosciamo le connessioni sociali come un bisogno umano fondamentale, allora non possiamo non considerare i rischi di essere socialmente isolati anche se le persone non si sentono sole”.
Altrettanto interessante è una recente scoperta che suggerisce che la solitudine possa essere un segno pre-clinico per il Morbo di Alzheimer.
Usando i dati del Harvard Aging Brain Study di 79 adulti cognitivamente normali che vivono nella comunità, la dottoressa Donovan e colleghi hanno trovato un collegamento tra il punteggio dei partecipanti su una valutazione di tre domande per la solitudine e la quantità di amiloide nel loro cervello.
L'accumulo di amiloide è considerato un principale segno patologico del morbo di Alzheimer.
In questo studio, la solitudine non era associata con l'estensione della rete sociale o dell'attività sociale delle persone o al loro stato socioeconomico.
Tuttavia, in un altro studio su adulti di 50 anni e più, la dottoressa Donovan e il suo team riportano che la solitudine era legata al peggioramento della funzione cognitiva in un periodo di 12 anni, dove l'iniziale impoverimento cognitivo non era associato ad un aumento della solitudine.
Quando i ricercatori hanno analizzato più a fondo tali aspetti, hanno scoperto che la depressione, anche quella relativamente lieve, produce un effetto maggiore della solitudine sul rischio di declino cognitivo.
“L'aumento dei sintomi depressivi determina la seguente progressione: da normale funzionamento cognitivo a lieve deterioramento, da lieve deterioramento a demenza”.

I suddetti autori hanno suggerito che la solitudine e la depressione, sia di bassa che grave severità, possono avere effetti patologici simili sul cervello.
Tutto ciò solleva la questione di come la solitudine e l'isolamento sociale potrebbero essere neutralizzati per aiutare a scongiurare il declino cognitivo e altre effetti avversi sulla salute.
I suggerimenti per gli adulti soli o socialmente isolati hanno incluso la partecipazione ad un corso, prendere un cane, il volontariato e l'ingresso in un centro per anziani.
Il programma britannico, chiamato Befriending, è caratterizzato da una compagnia individuale da parte di un volontario che si incontra regolarmente con una persona che vive una condizione di solitudine.
Mentre tali programmi possono mostrare un modesto miglioramento delle misure di ansia e depressione, il loro significato a lungo termine è purtroppo ancora sconosciuto.
Un altro programma chiamato LISTEN, sviluppato da Laurie Theeke presso la School of Nursing della West Virginia University, è una forma di terapia cognitiva-comportamentale per contrastare la solitudine.
Prevede cinque sessioni di due ore di piccoli gruppi di persone sole che esplorano ciò che vogliono dalle relazioni, i loro bisogni, i modelli di pensiero ed i comportamenti.
È dubbio, tuttavia, che un simile approccio sarebbe pratico su una scala abbastanza ampia tale da soddisfare la necessità di una ristrutturazione cognitiva degli adulti soli a livello nazionale.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro