‘Spegnere’ il cervello per cancellare i ricordi paurosi.
Indebolire la comunicazione tra due parti del cervello dei topi riduce la loro paura.
Cancellare i ricordi indesiderati sarebbe bellissimo... Ma è ancora roba da fantascienza!!
Gli scienziati del Weizmann Institute, però, sono riusciti ad eliminare una parte dei ricordi nei cervelli dei topi.
In particolare, nello studio, riportato su “Nature Neuroscience”, essi hanno ‘spento’ il meccanismo neuronale, a causa del quale si formano i ricordi di eventi paurosi nel cervello murino.
Dopo aver concluso la procedura, inoltre, questi animali hanno ripreso un comportamento normale, senza paura, “dimenticando” di averne avuta in precedenza.
Questa ricerca sembra apportare uno strumento molto importante per la scienza perché potrebbe aiutare ad estinguere, un giorno, i ricordi traumatici anche negli esseri umani – per esempio, in persone con Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD).
“Il cervello è bravo a creare nuovi ricordi quando questi sono associati con forti esperienze emotive, come intenso piacere o paura”, ha spiegato il Dott. Ofer Yizhar, a capo dello studio. “Ecco perché è più facile ricordare le cose che ci interessano, siano esse buone o cattive. Questa è anche la ragione per cui i ricordi delle esperienze traumatiche hanno, spesso, una durata estremamente lunga, predisponendo chi le vive all’insorgere del PTSD”.
Come fa il cervello ad integrare le emozioni nei ricordi?
Nello studio, i Dott. Oded Klavir e Matthias Prigge, insieme ai Dott. Rony Paz e Ayelet Sarel, hanno esaminato la comunicazione che si forma tra due regioni del cervello: l’Amigdala e la Corteccia PreFrontale.
La prima gioca un ruolo fondamentale nel controllo delle emozioni, mentre la seconda è responsabile, in gran parte, delle funzioni cognitive e della conservazione delle informazioni nella memoria a lungo termine.
Studi precedenti avevano suggerito che le interazioni, compromesse nel PTSD, tra queste due regioni contribuiscono alla formazione e conservazione dei ricordi spiacevoli, ma, fino ad ora, era sconosciuto l’esatto meccanismo alla base di questi processi.
In questo nuovo lavoro, i ricercatori hanno dapprima usato un virus geneticamente modificato per contrassegnare quei neuroni dell’Amigdala che comunicano con la Corteccia PreFrontale.
Successivamente, utilizzando un altro virus, essi hanno inserito in questi neuroni un gene codificante una proteina fotosensibile, di modo che, quando il cervello fu esposto alla luce, si attivassero solo tali neuroni.
Queste procedure, appartenenti all’optogenetica – una tecnica ampiamente studiata nel laboratorio del Dott. Yizhar – hanno permesso ai ricercatori di attivare e di mappare solo i neuroni dell’Amigdala che interagiscono con la Corteccia.
Una volta che essi raggiunsero questo controllo preciso sulle interazioni cellulari nel cervello, sono passati ad esplorare il comportamento, partendo dall’assunto che i topi che hanno meno paura hanno anche maggiori probabilità di avventurarsi più lontano degli altri.
Essi hanno scoperto, infatti, che, quando gli animali sono stati esposti a stimoli che inducono paura, si attivava una forte rete comunicativa tra l’Amigdala e la Corteccia PreFrontale e che essi erano quelli più propensi a conservarne il ricordo, mostrandosi spaventati ogni volta che risentivano lo stesso suono condizionato (associato in precedenza a questa emozione).
A questo punto, per chiarire come questa rete comunicativa contribuisca alla formazione e stabilità dei ricordi, gli scienziati hanno sviluppato una tecnica optogenetica innovativa per indebolire il collegamento tra le due regioni cerebrali coinvolte.
Infatti, una volta che la connessione veniva indebolita, i topi dell’esperimento non avevano più paura quando udivano il suono precedentemente condizionato e si comportavano come se non l’avessero mai provata.
Evidentemente, “abbassare” l’intensità della trasmissione neuronale dall’Amigdala alla Corteccia aveva destabilizzato, o addirittura distrutto, il loro ricordo della paura.
Il Dott. Yizhar ha concluso:
“La nostra ricerca si è concentrata su una questione fondamentale nelle neuroscienze: come fa il cervello ad integrare l’emozione nella memoria. Un giorno, i nostri risultati potrebbero contribuire allo sviluppo di terapie mirate maggiormente alle connessioni tra Amigdala e Corteccia PreFrontale, al fine di alleviare i sintomi dei Disturbi d’Ansia e della paura”.
Fonte: Weizmann Institute of Science
(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)