Un confine sottile
Molto bello l'intervento di Umberto Eco nell'ultimo convegno sulla comunicazione tenutosi a Camogli. Molto bello e molto vero: i canali comunicativi sono cambiati, la comunicazione è diventata uno strumento di controllo sociale e non più solo di trasferimento di informazioni, e le persone collaborano entusiaste, senza capire, a questa operazione.
Da una parte ci sono i dubbi (per chi se li pone) sull'attendibilità di chi trasmette cosa, dall'altra l'impossibilità di controllare tutte le informazioni, e dall'altra ancora gli effetti di questo fiume di dati su un'utenza confusa ed inquieta a cui, in fondo, importa solo l'illusoria percezione di sentirsi meno abbandonati in una società dove virtualità e solitudine viaggiano a braccetto.
Ma il discorso che più mi ha interessato e coinvolto è stato quello sull'uso indiscriminato del "tu", e questo per motivi non solo culturali e sociologici, ma anche perché ha una ricaduta significativa sull'esercizio dell'attività clinica dello psicoterapeuta.
Oggi sono molti i pazienti che, sull'onda omogeneizzante dell'illusione dell'abbattimento delle differenze, ci chiedono di dar loro del tu, o, peggio ancora, di darlo a noi. Ed in parecchi ci cascano, nell'intento (anch'esso illusorio) che questo avvicinamento crei empatìa e faciliti il processo di guarigione. Ma non si rendono conto, ahiloro, che nel nostro campo il concetto di "guarigione" è per molti versi ed in moltissime situazioni analogo a quello di "crescita", e che non si cresce abbreviando le distanze, ma percorrendole.
Il maestro, il prete, lo psicologo, il medico, possono certamente avere un proprio personale stile comunicativo, ma dovrebbero tenere sempre bene a mente a cosa rinunciano nel momento in cui accettano di abolire certe distanze.
Dopotutto, se siamo alla pari, cosa puoi insegnarmi? Cosa rende il tuo detto più importante e significativo di ciò che dico e penso io? E perché dovrei lasciarmi ispirare dal tuo pensiero, dal momento che sto tanto male e tanto bene in compagnia del mio?
Non a caso un grande psicoanalista e medico pediatra come Winnicott sottolineava l'importanza del concetto di "distanza professionale": l'asimmetrìa è la condizione fondamentale per apprendere, per riflettere, per guarire, e per potersi aspettare dall'altro qualcosa di cui non disponiamo o a cui non avevamo ancora pensato. Niente di personale dunque, ma bisogna saper distinguere, perché a volte il "tu" è un mito se non un imbroglio, mentre un "Lei" può essere molto più sano, sincero e carico di interesse e di affettività.
(articolo a cura del Dottor Claudio Nudi)