Un test cognitivo per predire il futuro dei bambini.
Alcuni segnali precoci che possono svelare il futuro successo dei nostri figli.
Secondo una ricerca, condotta in Nuova Zelanda, effettuare dei test cognitivi all’età di tre anni può predire la possibilità che ha quel bambino di avere successo nella vita.
Secondo gli esperti, infatti, ottenere dei punteggi bassi ai test che valutano abilità cognitive, come il linguaggio, sarebbe indice di uno sviluppo minore dei cervelli, a causa, probabilmente, di un numero esiguo di stimolazioni nei primi anni di vita.
Inoltre, i ricercatori hanno indicato che i soggetti con tali caratteristiche avrebbero maggiori probabilità di diventare dei criminali, di essere dipendenti dall’assistenza sociale o di sviluppare malattie croniche, a meno che non ricevano un supporto in seguito.
Lo studio.
Lo studio, pubblicato sul giornale “Nature Human Behaviour”, ha seguito la vita di più di 1.000 bambini della Nuova Zelanda.
Dalle analisi effettuate è emerso che coloro, che hanno avuto punteggi bassi ai test del linguaggio, del comportamento, del movimento e della capacità cognitiva, a tre anni, hanno perpetuato l’80% dei reati, hanno richiesto il 78% delle prescrizioni ed hanno ricevuto il 66% dei pagamenti da parte dell’assistenza sociale, in età adulta.
È noto che le persone svantaggiate utilizzino una quota maggiore di servizi, ma, anche se molti dei bambini dello studio, che erano indietro nello sviluppo cerebrale, venivano da ambienti svantaggiati, la povertà non era l’unico legame tra di loro.
Quando i ricercatori hanno effettuato un’analisi separata con coloro che erano al di sotto della soglia di povertà, hanno scoperto, infatti, che una percentuale simile di bambini della classe media, che avevano avuto un punteggio basso nei test, quando avevano tre anni, hanno continuato ad incontrare delle difficoltà importanti, da grandi.
Considerazioni.
Gli studiosi statunitensi della Duke University hanno commentato che questi risultati sottolineano l’importanza delle prime esperienze di vita e degli interventi tempestivi nel sostenere i giovani più vulnerabili.
Anche se questo studio ha seguito le persone in Nuova Zelanda, i ricercatori ritengono che tali dati potrebbero applicarsi anche in altri Paesi.
Un’altra considerazione importante è che questi bambini non rimangono fissi all’età di tre anni.
Il corso della loro vita, infatti, potrebbe essere potenzialmente cambiato se, successivamente, ricevono un sostegno, per esempio attraverso programmi di riabilitazione da adulti.
Naturalmente, come ha spiegato la Prof. Terrie Moffitt, della Duke University, in North Carolina: “Più sono piccoli i bambini, migliore è il supporto ricevuto”.
E ha continuato: “La nostra ricerca suggerisce che queste erano le persone che, da piccoli, non hanno mai avuto le possibilità che il resto di noi ha avuto: non c’è mai stato, cioè, un aiuto adeguato per costruire le competenze atte a tenere il passo con questo sistema molto complicato e veloce”.
Gli studiosi hanno aggiunto, poi, che la società dovrebbe rivalutare la visione che ha di queste persone, le quali sono, spesso, etichettate come “perdenti” ed “emarginati”, ed offrire, invece, un sostegno maggiore.
“Spero che il nostro studio non confluisca nel pregiudizio”, ha commentato il Prof Avshalom Caspi, del King's College London, altro autore dello studio. “Ma che la nostra ricerca crei la compassione pubblica e la volontà politica di intervenire sui bambini e, ancora più importante, di offrire servizi alle loro famiglie, di modo che possano avere una vita migliore”.
“La questione è di fornire un’educazione di qualità più alta e di considerare di indirizzarla verso quei gruppi svantaggiati, che potrebbero trarne un beneficio maggiore”, ha concluso Josh Hillman, direttore della Nuffield Foundation.
Fonte: BBC.com
(Traduzione ed adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)