Una posizione provocatoria
Credo che il mondo psicoanalitico attuale, almeno in Europa, possa essere suddiviso grosso modo in due aspetti fondamentali, e cioè coloro che operano in una sorta di "sonno dogmatico" e quelli che invece si affannano per conferire alla psicoanalisi certezze di cui peraltro già dispone, quasi che dubitasse di sé stessa o che dovesse fornire prove ulteriori dello straordinario successo e della straordinaria persistenza che ha avuto negli ultimi centoquattordici anni, tra l'altro essendo attaccata da tutte le parti da scettici, resistenti, detrattori e delatori, parecchi dei quali tutt'altro che in buona fede; tutti protesi a falsificarla, o in via di principio, o nel furioso tentativo di dimostrare che "il nostro metodo è migliore del vostro", come se al mondo non ci fosse posto per tutti alla sola condizione che ognuno sappia stare, nel miglior modo possibile, al suo posto.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che una scienza debba evolvere. Eppure, in certi momenti, leggendo certi articoli, o certi libri, o ascoltando certi dibattiti, sembra quasi che la psicoanalisi odierna non si basti, e per questo vada alla ricerca di concettualizzazioni sempre più affinate, e spesso - o almeno così mi pare - autoreferenti, o troppo esegetiche, poco credibili e, tutto sommato, poco utili, piluccando qua e là tra le citazioni dei vari autori più per mostrarsi che per comprendere.
La smania è quella di prevedere, di diagnosticare, di sapere sempre in anticipo ed in ogni momento dove siamo e cosa stiamo facendo, di analizzare le domande del paziente anzitempo e così limitando gli orizzonti di quella straordinaria costruzione relazionale che, a partire dalla storia di ognuno, può maturare solo nell'adesso.

Molti di questi tentativi, devo confessare, mi lasciano assai dubbioso. E' davvero possibile prevedere tutte queste cose, in psicoanalisi? Certamente, nella nostra teoresi e nella pratica ci sono percorsi in qualche modo obbligati e ripetibili. Dopotutto, una resistenza è una resistenza, le pulsioni sono un dato, la riservatezza analitica ed il silenzio che lascia spazio all'altro ( e non quello che lo affama) rappresentano un must, e le libere associazioni ed il sogno rimangono a tutt'oggi la "via regia" per accedere all'inconscio.
Certamente, la psicoanalisi é una scienza. Ha le sue sperimentalità, è riproducibile, (la riproduciamo da più di cento anni!) ed è persino, almeno in parte, falsificabile. Tuttavia, anche se qualcuno dice di no, è anche una scienza ermeneutica, cioè interpretativa, che costruisce i suoi oggetti nella relazione e attraverso la relazione, motivo per cui reca in sé obbligatoriamente qualcosa di segreto, incomunicabile e misterioso, che nessun rendiconto clinico riuscirà mai a rendere appieno, salvo, forse, attraverso una descrizione poetica.
Per lo stesso motivo, proprio per questa sua radice "archeologica" e poetica, a mio parere, così come non può provare i suoi risultati in termini solamente scientifici, non può nemmeno essere contestata in termini puramente scientifici. Mentre scrivo queste cose mi vengono in mente le rovine del palazzo di Cnosso, a Creta.
Evans fu tanto criticato per averle ricostruite in quel modo, certamente avventuroso e creativo … ma è l'unica immagine che abbiamo del Labirinto, e, avventurosa o meno, ha una sua congruenza, una sua splendida credibilità, e sta ancora lì a rappresentare l'incontro tra il mito e l'oggi, perfetta metafora di ciò che siamo in grado di costruire oggi ricordando, e sottoponendo al vaglio della ragione adulta, i reperti del nostro passato.
Dottor Claudio Nudi - Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoanalista